venerdì 11 febbraio 2011

Il Quirinale da solo non basta


di Lorenza Carlassare

Un governo “provvisorio” per affrontare questioni improrogabili (la legge elettorale innanzitutto) è solo in astratto la soluzione per uscire da una situazione disastrosa.

I normali rimedi previsti nelle democrazie costituzionali non riescono infatti a funzionare nella realtà politicamente e moralmente degradata che stiamo vivendo.

I rimedi per uscire dalle crisi prevedono due passaggi, il primo nelle mani delle Camere, il secondo del presidente della Repubblica: se il governo non è in grado di funzionare, un voto di sfiducia lo costringe alle dimissioni aprendo la strada alla formazione di un governo nuovo da parte del presidente.

Questo cammino è oggi impedito da una squallida farsa: una maggioranza inesistente, ‘acquistando’ una manciata di voti di parlamentari ‘responsabili’, impedisce l’approvazione della sfiducia, bloccando una situazione insostenibile. Non ci sono i numeri per sfiduciare il governo, né per consentirgli un’azione politica efficace. I meccanismi costituzionali risultano inservibili perché il gioco è condotto con dadi truccati. Se il primo passaggio si rivela impossibile, ogni uscita è inesorabilmente preclusa?

QUI S’INSERISCE l’altro lato della vicenda, forse il più fosco, che ne rende insostenibile il perdurare. Non è soltanto in causa una maggioranza sfaldata e insufficiente: l’insufficienza è anche morale, vorrei dire ‘civile’, e rende incompatibile la persona di Berlusconi con la carica istituzionale ricoperta. Ma il presidente del Consiglio rifiuta di dimettersi; anche quest’uscita, scontata in qualsiasi democrazia normale, di fatto è preclusa. È guardando ad entrambi i fatti e alla loro ‘peculiarità’ che va valutato, in concreto, il ricorso all’estrema soluzione: lo scioglimento anticipato delle Camere. È la via indicata da Eugenio Scalfari nell’editoriale di domenica scorsa; ma, gli si obietta, il decreto di scioglimento deve essere controfirmato dal presidente del Consiglio. Come se ne esce? La Costituzione si limita a dire che il presidente della Repubblica può sciogliere le Camere “sentiti i loro presidenti” (art. 88).

Nessuna difficoltà, sembrerebbe. La norma però va letta nel quadro del sistema parlamentare e del generale principio dell’art. 89 “Nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilità”. La controfirma ha un valore puramente formale, o il governo può rifiutarla? La risposta non è del tutto sicura. La controfirma assume “un diverso valore a seconda del tipo di atto” ammette anche la Corte costituzionale seguendo l’opinione dei giuristi (sent. 200/2006 sul potere di grazia). Ad essa va “attribuito un carattere sostanziale quando l’atto sottoposto alla firma del capo dello Stato sia di tipo governativo e, dunque, espressione delle potestà che sono proprie dell’esecutivo, mentre a essa deve essere riconosciuto valore soltanto formale quando l’atto sia espressione di poteri propri del presidente della Repubblica, quali – ad esempio – quelli di inviare messaggi alle Camere, di nomina di senatori a vita o dei giudici costituzionali. A tali atti deve essere equiparato quello di concessione della grazia”.

Negli atti ‘presidenziali’, dunque, la decisione finale è assunta dal capo dello Stato, la controfirma è dovuta. Lo scioglimento delle Camere è fra questi? Alcuni costituzionalisti, soprattutto in passato, ritenevano di sì; per altri invece rientrerebbe in un terzo tipo (‘atto complesso’) che richiede l’accordo di entrambi.

Mi è sempre parsa preferibile questa posizione: inammissibile affidare al solo presidente, organo politicamente irresponsabile, una decisione intensamente politica, legata a valutazioni contingenti, non giudicabile con parametri oggettivi. La mia convinzione si è rafforzata dopo la presidenza di Cossiga le cui decisioni, legate agli umori del momento, provocarono numerosi appelli di costituzionalisti preoccupati per l’equilibrio costituzionale.

HO SEMPRE ritenuto che anche la maggioranza, qualsiasi maggioranza, vada tutelata, e dunque il governo, che della maggioranza è espressione, debba aver voce in una decisione grave che può metterne in gioco la sorte, e che pertanto la controfirma al decreto di scioglimento abbia valore ‘sostanziale’. Le interpretazioni diverse dell’art. 88 portano a differenti esiti: se lo scioglimento è ‘atto presidenziale’ l’eventuale rifiuto di controfirma autorizzerebbe il presidente a ricorrere alla Corte costituzionale, la quale, purché sussistano ragioni valide, darebbe ragione al primo. Con la teoria dell’atto complesso, invece, il rifiuto governativo – accertata la validità delle ‘motivazioni’ del rifiuto – dovrebbe essere considerato legittimo. La situazione concreta ha comunque un ruolo decisivo, e certamente le tipologie della dottrina non vanno intese in un modo rigido , incompatibile con l’elasticità dei rapporti costituzionali che sono pur sempre rapporti politici. Anche chi accede all’idea del necessario accordo fra i due, sposta comunque l’accento sul potere del capo dello Stato (ad esempio Paladin). Ed è sicuro per tutti che se è il presidente ad opporsi, lo scioglimento non si può fare. Nelle attuali circostanze s’innestano peculiarità tali da spostare i termini del discorso? Non siamo in una situazione ‘normale’ dove la decisione di sciogliere si basa su considerazioni soltanto ‘politiche’ e perciò non può essere lasciata al solo capo dello Stato.

Urgenze diverse s’incrociano. A un blocco che non trova uscita nelle vie costituzionalmente previste si aggiunge l’esigenza di ridare alle istituzioni la dignità perduta e di porre fine a contrasti indecorosi al limite della crisi. Quella del capo dello Stato non sarebbe una valutazione soltanto ‘politica’.

Due gravi motivi, oggettivamente rilevabili, la sosterrebbero:

rimettere in moto le istituzioni inceppate è fra i suoi compiti istituzionali (il governo con la sua maggioranza risicata non ‘governa’ e i rimedi costituzionali sono inutilizzabili);

chiudere un’inedita situazione di degrado e lotta fra ‘poteri’ mai prima verificata.

I dubbi, di certo, non mancano: ma è necessario, almeno, rifletterci.

8 commenti:

Francy274 ha detto...

Chi potrebbe richiedere l'inderdizione di Silvio Berlusconi perchè malato? C'è come prova la denuncia fatta dalla ex-moglie Veronica Lario, inoltre la maggioranza dei cittadini è testimone della schizzofrenia di cui soffre il Presidente del Consiglio, fra l'altro denunciata pubbicamente da un illustre letterato quale Umberto Eco.
Io penso che si possa ricorrere a questa soluzione, perchè non se ne può davvero più!!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Lorenza Carlassare è una eminente costituzionalista. Lo scenario che disegna in modo articolato e completo ti porta con mano a concludere che c'è un solo modo per fare a meno della controfirma del Presidente del Consiglio, per lo scioglimento delle Camere, laddove la situazione è così grave da imporre al Capo dello Stato l'ingresso in un profilo 'politico' che in condizioni di normalità gli è inibito fare, quando serve lo scioglimento delle Camere necessario per sbloccare il funzionamento delle istituzioni, inceppate proprio a causa del premier.
Vedremo come andrà a finire. Cero è che non vorrei essere nei panni di Napolitano.

i glicini di cetta ha detto...

Ho letto il testo ed i commenti.
Fammici pensare.
Ci sono molti punti da chiarire, la Carlasse ce ne ha dati tanti.
Ci sono altri spunti che la Crlasse, però, non ha citato.
Ne riparliamo domani.
Grazie per lo spunto, domani posto questo articolo sul mio blog e su fb, avere altri pareri è auspicabile.
Un abbraccio.
PS. Hai visto la puntata di "ripresa diretta"? che te e è parso?
Potresti anche intervenire nel loro blog per dire la tua, usciamo dal privato, entriamo nel vivo, ne abbiamo facoltà.

i glicini di cetta ha detto...

L'articolo non l'ho trovato neanche nel cartaceo, dov'è?
Capisco, sono stanca, ma non lo trovo.
Grazie.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

No, non l'ho vista perché l'ho fatto registrare da mio figlio per poterlo vedere e rivedere a mio comodo, avendo intenzione di commentarla.
Le argomentazioni della Carlassare, meno nota dei Presidenti Emeriti della Corte Costituzionale, sono più sottili e approfondite, vanno oltre la differenza fra attività duale e attività eccezionale.
In ogni caso, qualora dovesse accadere, sarebbe sollevato conflitto di attribuzioni davanti la Corte Costituzionale.
Significa uno scontro istituzione fra Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica, con il risultato di una disarticolazione delle istituzioni e uno stallo del governo dello Stato che ci farà perdere del tutto il rispetto della comunità internazionale. Come vedi, la situazione è seria e tragica.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Io non leggo il cartaceo ma la versione online in pdf cui sono abbonato, mia moglie legge il cartaceo ma credo che l'abbia buttato.
Usa il mio link, se vuoi.

i glicini di cetta ha detto...

Io ho letto che il PdR, può, se se ne verificano i presupposti, sciogliere le camere con l'unico obbligo di interpellare i due presidenti delle camere, come recita l'articolo della Costituzione, il cui parere è, però, ininfluente.
La Carlassare pone, invece, altre interpretazioni che potrebbero, da ciò che deduco, presentare in opposizione i rappresentati della maggioranza ed il PdC.
Io credo, invece, che l'art.della Costituzione reciti bene ed in maniera completa ed esaustiva che il parare del PdC non è richiesto tanto meno previsto. Il fatto che vi sia un maggioranza non credo possa costituire un problema, la Costituzione non fa alcun riferimento al particolare.
Tante volte, volendo interpretare una legge addentrandosi nei suoi meandri più reconditi, non si fa altro che ingarbugliare un qualcosa che è già chiara, praticamente un voler complicare una cosa semplice.
PS. Copio il tuo articolo.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Procediamo con ordine. L’art. 88, comma 1. Cost. recita: “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.”.
Sembra tutto chiaro. Il Capo dello Stato ha il potere di sciogliere le camere o anche una sola di esse, sentiti i rispettivi preside ti, di Camera e Senato.
Siccome il Capo dello Stato è un organo di garanzia, il supremo organo di garanzia, non esercita attività politica e non è responsabile politicamente per gli atti che assume.
Di conseguenza, l’art. 89 Cost. recita: “[I] Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.
[II] Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri.”.
Si domanda la Carlassare: “La controfirma ha un valore puramente formale, o il governo può rifiutarla?” e si risponde: “La risposta non è del tutto sicura”, continuando: “La controfirma assume “un diverso valore a seconda del tipo di atto”, citando una sentenza delle Corte Costituzionale (200/2006, sul potere di grazia). Alla controfirma va “attribuito un carattere sostanziale quando l’atto sottoposto alla firma del capo dello Stato sia di tipo governativo e, dunque, espressione delle potestà che sono proprie dell’esecutivo, mentre a essa deve essere riconosciuto valore soltanto formale quando l’atto sia espressione di poteri propri del presidente della Repubblica, quali – ad esempio – quelli di inviare messaggi alle Camere, di nomina di senatori a vita o dei giudici costituzionali. A tali atti deve essere equiparato quello di concessione della grazia”. È la differenziazione individuata dalla dottrina, per la quale vi sono atti duali, in cui occorre la proposta del Ministro, e atti presidenziali, in cui la controfirma ha valore notarile ed è dovuta (concessione della grazia presidenziale).
“Lo scioglimento delle Camere è fra questi?”, si domanda la Carlassare. E si risponde, in passato si, oggi non è più così chiaro, per cui per alcuni giuristi lo scioglimento delle camere è un “atto complesso”, per cui l’atto presidenziale necessita della controfirma del Presidente del Consiglio.
L’opinione della costituzionalista è la seguente: è “inammissibile affidare al solo presidente, organo politicamente irresponsabile, una decisione intensamente politica, legata a valutazioni contingenti, non giudicabile con parametri oggettivi.”
Non solo. A seconda della interpretazione dell’art. 88 ne discende che se lo scioglimento delle camere è atto presidenziale, il diniego di controfirma del capo del Governo legittima l’instaurazione di un conflitto di attribuzione fra i due, che dirime la Corte Costituzionale; se è un “atto complesso” il rifiuto del Capo del Governo è legittimo.
Ma le situazioni non sono così rigide, per cui occorre contestualizzarle. Non siamo in una situazione normale, dice la Carlassare, la quale aggiunge: “A un blocco che non trova uscita nelle vie costituzionalmente previste si aggiunge l’esigenza di ridare alle istituzioni la dignità perduta e di porre fine a contrasti indecorosi al limite della crisi. Quella del capo dello Stato non sarebbe una valutazione soltanto ‘politica’.”
Nella situazione attuale di stallo, è dato rilevare due gravi motivi oggettivi a sostegno della tesi dell’atto presidenziale necessariamente anche politico: 1) rimettere in moto le istituzioni inceppate è fra i suoi compiti istituzionali (il governo con la sua maggioranza risicata non ‘governa’ e i rimedi costituzionali sono inutilizzabili); 2) chiudere un’inedita situazione di degrado e lotta fra ‘poteri’ mai prima verificata.
Come vedi, la lettura dei profili giudici costituzionali è molto complessa.