di FRANCESCO BEI e UMBERTO ROSSO
È scontro aperto tra il Quirinale e Berlusconi. Il premier forza la mano: salgo al Colle, porto a Napolitano il testo di un nuovo decreto contro le intercettazioni. Ma il Quirinale lo gela: nessun incontro è stato mai richiesto dal presidente del Consiglio, e tanto meno su questo tema. E, accanto alla sorpresa per il mancato rispetto di ogni procedura, sul Colle monta l'irritazione per l'ultima sortita del premier. Prima la bordata durissima contro i giudici di Milano, quindi la minaccia di voler fare causa allo Stato. Infine il documento del Pdl. Il premier usa quindi toni violenti, parla di "schifo" e "vergogna". Anche Umberto Bossi spara a zero e corre in soccorso dell'alleato: "Facendo così pare che i pm non rispondano più a niente. Il giudice naturale era un altro, sembra una guerra totale: è la magistratura contro il Parlamento". Tutti elementi che indispettiscono il Colle. Soprattutto alla luce di quel che è accaduto la scorsa settimana: quando proprio il Cavaliere aveva accolto l'appello a evitare contrapposizioni.
In questo clima, dunque, al Quirinale non vogliono prendere in considerazione un colloquio su un decreto rispetto al quale in passato aveva espresso le sue perplessità. In realtà Berlusconi e Napolitano potrebbero vedersi questa mattina, a margine della cerimonia per la "Giornata del ricordo" delle foibe. Tuttavia la presenza del Cavaliere non è ufficialmente prevista: il premier aveva infatti delegato a rappresentarlo il sottosegretario Gianni Letta. Molto difficile, in ogni caso, improvvisare un colloquio a quattr'occhi. Di certo sulle intercettazioni Napolitano è contrario ad ogni blitz, figurarsi per decreto. E sarà lui, con la sua firma, a dover certificare l'esistenza dei requisiti di "necessità e urgenza" previsti dalla Costituzione. Del resto, quando sei mesi fa la legge bavaglio si arenò, il capo dello Stato non nascose la sua soddisfazione, constatando "la legge è finita su un binario morto... ".
L'escalation prende il via durante la riunione dell'ufficio di presidenza del Pdl, convocato nel pomeriggio a palazzo Grazioli. L'idea di bruciare per decreto l'uso e la pubblicazione delle intercettazioni sul Rubygate e su altre eventuali inchieste, il premier l'aveva già avanzata in mattinata, in un Consiglio dei ministri per il resto dedicato all'economia. Ai presenti era parso insomma niente più che uno sfogo. Soltanto Alfano, Letta e Ghedini sapevano (almeno dal giorno prima) che il premier aveva davvero intenzione di procedere come un bulldozer sulla strada del decreto. Anche perché avevano tentato in ogni modo di frenarlo. Inutilmente. Così, quando si riunisce l'ufficio di presidenza, il Cavaliere torna sul punto, chiamando in causa il capo dello Stato. "Domani andrò al Quirinale a spiegare a Napolitano che a questa vergogna delle intercettazioni pubblicate a gettone il governo intende porre subito fine. Stavolta ci dovrà ascoltare". Le colombe capiscono di aver perso la partita, tira una brutta aria.
Il corto circuito con il Colle si innesca, Gianni Letta non ha ancora anticipato a Napolitano l'intenzione di Berlusconi. Le agenzie battono la notizia mentre la riunione è ancora in corso e succede il patatrac. Il capo dello Stato ha appena incontrato Bossi e Calderoli, ai due ha raccomandato la "massima condivisione" sul federalismo e quindi "cautela assoluta" sul ricorso alla fiducia, quando apprende della inaspettata visita annunciata dal Cavaliere. "Gli incontri al Quirinale vanno preparati e organizzati, non comunicati a mezzo stampa... ". Porte aperte naturalmente al capo del governo ma nel rispetto delle procedure, senza trovarsi insomma di fronte al fatto compiuto.
Ma ormai per Berlusconi, convinto di giocarsi la partita finale, queste questioni di correttezza istituzionale sembrano solo "assurde formalità". Per uno che ieri è persino arrivato a sorpresa a ipotizzare le dimissioni da presidente del Consiglio, lo spazio per le mediazioni fra i palazzi semplicemente non c'è più. "Se lo ritenete - ha esordito infatti davanti allo stato maggiore del Pdl - se pensate che il problema sia io, sappiate che sono pronto a farmi da parte". Non che ne avesse davvero intenzione, ma la drammatizzazione è riuscita. Tutti i colonnelli e i generali, a quel punto, hanno fatto a gara a chi la sparava più grossa. Landolfi ha proposto "il ripristino dell'immunità parlamentare",
(10 febbraio 2011)
Nessun commento:
Posta un commento