domenica 27 febbraio 2011

Un mondo senza testa


FURIO COLOMBO

È stata la vicenda libica ad agganciare l’attenzione costernata del mondo, è stata la violenza folle e crudele di un capo di Stato senza principi e senza scrupoli divenuto un sanguinario serial killer in questi suoi ultimi giorni di permanenza e di resistenza, una specie di Hitler ancora più folle che, si dice mentre scriviamo, sta pensando di bombardare le sorgenti del suo petrolio in modo da creare una morte immensa per tutti, chi lo ha sostenuto e chi lo ha combattuto fino alla fine.

In questo spettacolo di ferocia totale sono sembrate quasi normali le transizioni di regime avvenute in Egitto e Tunisia. Ma non lo sono. Sono Paesi in attesa di colmare un vuoto di identità, di governo e di futuro. E di tutto ciò per ora si intravede ben poco. Altri Paesi sono già nel tormento della rivolta che ormai chiamiamo “di popolo” ma che in realtà sono un fatto raro nella storia: la folla è pronta ma non c’e il leader. Nessuno chiama, nessuno guida.

Gli editori lo sentono già nell’aria: fra poco sociologi e politologi presenteranno saggi freschissimi per celebrare i due fatti nuovi: i popoli giovani si liberano da soli. E la tecnologia informatica consente un tipo di contatto, di persuasione reciproca e di auto-convocazione che prima non era mai esistita e che, d’ora in poi, sarà il percorso fatale dei grandi eventi politici di massa.

La nostra inevitabile attenzione, ammirata, ansiosa per ciò che sta accadendo in una parte molto importante del mondo arabo, l’offesa che proviamo per la stupida crudeltà di Gheddafi (e, per noi italiani, la vergogna di essere tuttora legati a Gheddafi da un trattato detto di “stretto partenariato” che ci vincola persino a dargli sempre ragione, come ha fatto il governo del nostro Paese) ci distrae da fatti che stanno accadendo in altre importanti parti del mondo.

Per esempio, l’Iraq, paese non certo privo di ricchezza, potenza e importanza strategica, è senza leader e senza governo, dopo regolari elezioni, da quasi un anno. Per esempio, in Libano non riesce a emergere e a sopravvivere un leader capace di guidare, se non il Paese, almeno un credibile governo di compromesso. Per esempio, in Somalia il mondo ha perduto la speranza che ci possa mai più essere un governo e uno Stato.

Ma non consola il pensiero che tutto ciò avviene in Paesi senza tradizione democratica. In Europa c’è il Belgio. Non ha governo da 249 giorni. Sono diventate tipiche, infinite, colorate, non violente le dimostrazioni dei cittadini che vogliono stare insieme, ovvero si oppongono alla stupida idea di spezzare il Paese secondo le linee di divisione fra fiamminghi e valloni.

Ma sopratutto una cosa balza agli occhi. C’e il Belgio, ci sono i Valloni e i Fiamminghi, ci sono partiti e le diverse proposte politiche ed economiche. Volendo c’e una politica estera, magari altrettanto grigia e nebbiosa come tutta la politica estera europea. Manca un leader. Non stiamo parlando della personalità che trasuda carisma e comunica consenso. Stiamo soltanto parlando di qualcuno capace – ma anche determinato – di tenere insieme due popoli che non sono davvero divisi, a formare un governo, a gestire una amministrazione e a far funzionare le istituzioni. C’e anche un re, in Belgio, dunque un di più di cerimoniale e di forma che può dare una mano alla buona volontà di mettersi alla testa del corteo. Ma non basta. Nessuno vuole guidare l’autobus Belgio, qualunque sia la strada da percorrere.

Però se allarghiamo l’inquadratura vediamo che la situazione di marcia senza capo che sto descrivendo va molto al di la di singoli esempi o di grandi momenti che sembrano la storia ma che, senza una interpretazione (chi sono, chi li guida, che cosa vogliono, dove vanno a finire?) restano una vicenda oscura che molti esaltano e molti vedono come un pericolo. Per esempio: gli immensi e ostinati cortei studenteschi che hanno sconvolto per settimane l’Italia, comparsi dal nulla e finiti nel nulla. Di uno di quei cortei, a Roma, è rimasta l’immagine di un giovane che non è nè polizia nè dimostrante, ma colpisce in modo violento un altro giovane dimostrante con un colpo di casco al viso. Diciamocelo chiaro, ancora adesso non sappiamo chi era davvero l’aggressore e se siamo di fronte a un breve scatto di follia o a qualcosa di misteriosamente preordinato.

Ma le proteste operaie? Alcune, anche estreme, come l’arrampicarsi sulla gru di una fabbrica chiusa o abbandonata, come la minaccia di suicidio, estrema manifestazione spontanea, come l’esilio volontario di centinaia di operai nell’isola dell’Asinara, alternativamente ricordati e dimenticati, secondo i momenti e secondo i media.

Ricordiamoci che anche la più grande manifestazione mai avvenuta nell’Italia repubblicana, la manifestazione delle donne in più di duecento piazze italiane, appena poche settimane fa, è nata da una grandiosa auto-convocazione da persone sconosciute a persone sconosciute.

Insomma, molto di ciò che sta accadendo nel mondo, una vasta dissociazione popolare da ciò che, al momento è il potere, una dissociazione allo stesso tempo clamorosa e prevalentemente nonviolenta, accade con una sorta di spinta dal basso che, in alto, non è accolta e non è attesa da nessuno. Anzi, nessuno si mette alla testa della nuova massa di cittadini (in genere i più giovani) che spontaneamente si è radunata.

Se ci si pensa bene, la domanda: qui chi è il leader? attraversa tutto il mondo. C’è, dentro questa nuova, imprevista situazione di masse che non hanno capi, una serie di domande che stanno al momento senza risposta.

Il capo manca perché, per uno strano e inedito fenomeno, non c’è, o perché è rifiutato? Il nuovo assestamento (strutture umane autoconvocate e libere dalla ricerca di un capo) si è formata – per ragioni che evidentemente ancora non sono state studiate – in una nuova psicologia e sociologia dei movimenti; oppure è la tecnica di connessione (la rete) che rende fluido e rapido il contatto orizzontale ma non ha interesse alla struttura verticale dell’auto-assemblea che sta nascendo, ovvero: metterci sopra un capo?

Se dunque qui si colloca la speranza e l’interesse per il nuovo che sta nascendo e che spontaneamente scavalca i turni generazionali di cui tanto si discute, esiste un diverso ma non infondato motivo di ansia. Che cosa accadrà se gruppi bene organizzati e del tutto separati dalla protesta si terranno pronti, in nome di interessi o di ideali che non conosciamo, a mettersi alla testa dei grandi movimenti spontanei nati dall rete?

Ogni denuncia di questo genere al momento è strumentale. Chi vuole seminare il panico vede Al Quaeda come il leader delle folle in rivolta in tutto il Nord Africa. Chi ha interesse a screditare studenti e sindacati li riveste, ogni volta di pericolose intenzioni eversive. Resta il fatto che, tuttora, l’opinione pubblica, ma anche quella degli esperti ha una certezza (dalla rete nasce una aggregazione diversa di “popolo”) e un dubbio che a volte è un incubo: chi si impossesserà delle rivoluzioni in un mondo senza leader?

Il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2011

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