LIANA MILELLA
Era silente da tempo la Bongiorno. Dopo due anni di trincea come contraltare di Berlusconi sulla giustizia. Complici, nel silenzio, l'impegno della sua gravidanza e la nascita di Ian. Ai suoi amici, la presidente della commissione Giustizia aveva anche detto: "Che spettacolo e che stanchezza. Sempre lo stesso gioco, nessuna riforma vera per la giustizia, ma solo leggine per sistemare gli affari giudiziari di Berlusconi". Poi, ecco il rush impensato del Pdl, la raffica con la riforma costituzionale, il processo breve, la prescrizione breve, pure la responsabilità civile dei giudici. Così la responsabile Giustizia di Fli ha ricominciato a parlare. A Repubblica dice: «L'emendamento Pini è la prova che questa maggioranza non vuole riformare la giustizia, ma creare norme salva-premier e norme che puniscano i magistrati».
Andiamo per flash, la materia è tanta. Partendo dall'ultima creatura, la responsabilità civile. Il Pdl dice che chi critica la norma vuole salvare la casta.
«Non è così. I giudici hanno una funzione talmente delicata che è giusto pretendere sempre la massima buona fede e la massima competenza. Se un magistrato si rivela non all'altezza del compito altissimo che è chiamato a svolgere, è giusto che paghi. E siccome per adesso il sistema dei controlli e delle sanzioni non ha funzionato si deve intervenire. L'emendamento Pini, però, non disciplina nulla, si limita genericamente a dilatare a dismisura la responsabilità dei magistrati ».
Andiamo per flash, la materia è tanta. Partendo dall'ultima creatura, la responsabilità civile. Il Pdl dice che chi critica la norma vuole salvare la casta.
«Non è così. I giudici hanno una funzione talmente delicata che è giusto pretendere sempre la massima buona fede e la massima competenza. Se un magistrato si rivela non all'altezza del compito altissimo che è chiamato a svolgere, è giusto che paghi. E siccome per adesso il sistema dei controlli e delle sanzioni non ha funzionato si deve intervenire. L'emendamento Pini, però, non disciplina nulla, si limita genericamente a dilatare a dismisura la responsabilità dei magistrati ».
È accettabile una formula così vaga, "violazione manifesta del diritto", per far partire una richiesta di risarcimento?
«Più che vaga, è inaccettabile. Ci si dimentica che ogni norma ha una zona grigia in cui il giudice deve poter interpretare la legge e applicarla al caso concreto. Con la spada di Damocle della responsabilità dilatata, un'interpretazione corretta potrebbe, invece, essere considerata una manifesta violazione di legge. È ovvio che così il più equilibrato dei magistrati può temere rappresaglie».
Ma è vero che segue i principi del diritto comunitario?
«È un richiamo monco. La violazione manifesta del diritto è definita a livello comunitario con dei paletti che fanno riferimento al carattere intenzionale della violazione e alla scusabilità, o non scusabilità, dell'errore. Paletti dei quali invece l'emendamento – guarda caso – non tiene conto. In questo modo, la responsabilità diventa sconfinata».
Il centrista Rao ne parla come della norma Ghe-Pini. Qual è la ratio, e perché questa accelerazione rispetto alla riforma costituzionale? Berlusconi ne ha bisogno per denunciare i suoi giudici e spingere gli italiani a metterli tutti in discussione?
«Rao è un raffinato politico e in quanto tale è bravissimo nel comunicare l'essenza delle cose. Sul piano dell'immagine si sventola la "Grande Riforma", ma io non credo che la maggioranza la voglia davvero. Forse perché una giustizia sconquassata piace molto a chi è imputato. Di fatto, vanno avanti solo i provvedimenti il cui effetto è peggiorare ulteriormente il sistema».
Norme sempre e solo per i suoi processi. La prescrizione breve: c'è un fumus di incostituzionalità nell'attribuire a un incensurato un simile e reiterato privilegio?
«C'è di più. C'è l'irrazionalità di un sistema in cui, di fronte alla piaga della prescrizione, anziché correre ai ripari e dotare il sistema di risorse per arginarla – accelerando i processi –, si creano i presupposti per renderla più facile».
Alfano rivendica totalmente di aver fatto la sua riforma della giustizia. Voi finiani avete assunto una posizione cauta e attendista. Perché?
«Si affermano alcuni principi di grande civiltà, come la separazione delle carriere, ma al contempo arrivano dal testo segnali estremamente negativi laddove è innegabile il tentativo di trasferire alla classe politica alcune funzioni della magistratura. E se poi, in questo contesto, inizia il giochino di anticipare i provvedimenti più "graditi", allora davvero nessuno potrà più credere alla volontà di riformare la giustizia per migliorarla».
Insomma, lei non crede nello spirito riformatore?
«Quello che posso dire è che, finora, la produzione normativa in tema di giustizia è stata essenzialmente una ricerca di norme "salva-premier" alternate a norme punitive della magistratura. Oggi è questo il filo conduttore della giustizia in Italia».
Finiranno mai gli scontri tra maggioranza e magistratura?
«Soltanto quando ci sarà un premier capace di riformare la giustizia nell'interesse dei cittadini. Quindi, dobbiamo attendere un altro premier».
«Più che vaga, è inaccettabile. Ci si dimentica che ogni norma ha una zona grigia in cui il giudice deve poter interpretare la legge e applicarla al caso concreto. Con la spada di Damocle della responsabilità dilatata, un'interpretazione corretta potrebbe, invece, essere considerata una manifesta violazione di legge. È ovvio che così il più equilibrato dei magistrati può temere rappresaglie».
Ma è vero che segue i principi del diritto comunitario?
«È un richiamo monco. La violazione manifesta del diritto è definita a livello comunitario con dei paletti che fanno riferimento al carattere intenzionale della violazione e alla scusabilità, o non scusabilità, dell'errore. Paletti dei quali invece l'emendamento – guarda caso – non tiene conto. In questo modo, la responsabilità diventa sconfinata».
Il centrista Rao ne parla come della norma Ghe-Pini. Qual è la ratio, e perché questa accelerazione rispetto alla riforma costituzionale? Berlusconi ne ha bisogno per denunciare i suoi giudici e spingere gli italiani a metterli tutti in discussione?
«Rao è un raffinato politico e in quanto tale è bravissimo nel comunicare l'essenza delle cose. Sul piano dell'immagine si sventola la "Grande Riforma", ma io non credo che la maggioranza la voglia davvero. Forse perché una giustizia sconquassata piace molto a chi è imputato. Di fatto, vanno avanti solo i provvedimenti il cui effetto è peggiorare ulteriormente il sistema».
Norme sempre e solo per i suoi processi. La prescrizione breve: c'è un fumus di incostituzionalità nell'attribuire a un incensurato un simile e reiterato privilegio?
«C'è di più. C'è l'irrazionalità di un sistema in cui, di fronte alla piaga della prescrizione, anziché correre ai ripari e dotare il sistema di risorse per arginarla – accelerando i processi –, si creano i presupposti per renderla più facile».
Alfano rivendica totalmente di aver fatto la sua riforma della giustizia. Voi finiani avete assunto una posizione cauta e attendista. Perché?
«Si affermano alcuni principi di grande civiltà, come la separazione delle carriere, ma al contempo arrivano dal testo segnali estremamente negativi laddove è innegabile il tentativo di trasferire alla classe politica alcune funzioni della magistratura. E se poi, in questo contesto, inizia il giochino di anticipare i provvedimenti più "graditi", allora davvero nessuno potrà più credere alla volontà di riformare la giustizia per migliorarla».
Insomma, lei non crede nello spirito riformatore?
«Quello che posso dire è che, finora, la produzione normativa in tema di giustizia è stata essenzialmente una ricerca di norme "salva-premier" alternate a norme punitive della magistratura. Oggi è questo il filo conduttore della giustizia in Italia».
Finiranno mai gli scontri tra maggioranza e magistratura?
«Soltanto quando ci sarà un premier capace di riformare la giustizia nell'interesse dei cittadini. Quindi, dobbiamo attendere un altro premier».
(26 marzo 2011)
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