venerdì 18 marzo 2011

Nucleare, la via francese


Il premio Nobel Elias Canetti invitava a diffidare degli uomini che sanno tutto e che mostrano di crederci. Dopo il disastro di Fukushima, è del tutto naturale dubitare di quanti - esperti a vario titolo - proclamano ai quattro venti la sicurezza assoluta dell'energia nucleare e considerano la tragedia giapponese come un evento irripetibile in altri angoli della terra. Per costoro, le «conseguenze nucleari» sarebbero tollerabili e non varrebbero nemmeno una discussione.
Ma non è letteratura apocalittica interrogarsi sul senso di tutto o constatare come in ogni cittadino, a qualsiasi latitudine, le certezze scientifiche e la fiducia nel progresso abbiano subito una scossa sismica.
È questa scossa, emotiva fin che si vuole, che ha aperto anche in Francia, uno dei Paesi di più collaudata tradizione nucleare, con ben 58 reattori, il dibattito sulla sicurezza, sul rapporto fra impianti e territorio (nonostante il basso rischio sismico) e sull'anzianità delle centrali. «Dobbiamo tirare le conseguenze degli avvenimenti giapponesi» hanno dichiarato i vertici di Areva ed Edf, i colossi dell'industria nucleare transalpina. In Germania, il governo di Angela Merkel ha deciso la chiusura degli impianti più vecchi e di rivedere gli standard di prolungamento della vita di altri.
Di sicurezza, di centrali obsolete e di necessità o meno di nuovi reattori si parla apertamente in Svizzera, in Austria, negli Stati Uniti.

Su iniziativa tedesca, se ne discuterà in sede europea.

Oltre a resuscitare l'angoscia di una nuova Chernobyl, le immagini di migliaia di esseri allontanati dalle loro case per il rischio contaminazione, e di tecnici con tuta e maschera che «testano» il rischio morte dei concittadini, hanno persino ridimensionato le paure del caro petrolio, gli scenari macroeconomici sulle conseguenze della rivoluzione nel mondo arabo e l'adesione culturale - insinuatasi anche fra gli ambientalisti - all'idea che la salvezza dell'ecosistema planetario (e del nostro modello di vita) dipenda dalle fonti nucleari, comunque preferibili alla morte per inquinamento.

Altra cosa è la disputa ideologica, che è speculare all'arroganza scientifica. Ecologisti e ampi settori di sinistra tornano ad agitare bandiere, come se il nucleare fosse una cosa di destra e magari l'eolico una soluzione di sinistra. Per inciso la polemica politica non è un'eccezione italiana. Lo stesso avviene in Germania e in Francia, peraltro in vista di scadenze elettorali.

Le spinte emotive e le polemiche non faranno chiudere le centrali nel mondo. È però importante che i responsabili ascoltino le emozioni. È necessario garantire la trasparenza dei processi industriali, l'indipendenza delle autorità di controllo, la certezza che anzianità e affidabilità degli impianti non siano una variabile economica o il capriccio di una lobby, oltre a un corretto rapporto fra costi industriali di costruzione delle centrali e benefici finali sulla bolletta.

Anche il fatto che il rischio zero non esista è un dato scientifico. Ma in Francia, ad esempio, si sottolinea come nessun grave incidente sia avvenuto in 1450 anni (dato ottenuto moltiplicando 58 reattori per 25 anni di funzionamento medio ciascuno). Chernobyl fu la somma di errori umani e cultura sovietica. Non occorre essere esperti per considerare che anche nell'eccezionalità della tragedia giapponese siano intervenute responsabilità umane. Il reattore di Fukushima doveva essere chiuso. Prima del sisma.

Massimo Nava
15 marzo 2011

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