venerdì 18 marzo 2011

Pechino, la muraglia verde che fermerà l'avanzare del deserto


PECHINO - La Grande Muraglia non basta più. Oggi solo una foresta può salvare la capitale della Cina. Non un bosco qualsiasi: contro il deserto serve la selva più vasta dell'Asia. È una missione senza precedenti, ai limiti delle possibilità della natura e dell'uomo. In qualsiasi altro Paese del mondo si sarebbe trasferita la capitale.

Come è avvenuto in Kazakhstan. Miliardi risparmiati e un'incertezza in meno. Ma la Cina è un altro mondo, oggi ha bisogno di storiche sfide e poi Pechino è Pechino. È una millenaria ed eterna città, il simbolo della patria, animata da 23 milioni di persone. Per questo nessun cinese si è stupito, ieri, leggendo sul "Quotidiano del Popolo" che
il governo ha varato un'impresa destinata ad entrare nella storia del mondo: piantare trecento milioni di alberi nella regione dell'Hebei, a nord e a ovest della capitale, lungo il confine con la Mongolia Interna, per arrestare l'avanzata della sabbia dal deserto del Gobi.

La titanica impresa è stata battezzata
"Grande Muraglia Verde" e mira a far crescere una nuova foresta di 250 mila chilometri quadrati di superficie. Le dune, alte fino a duecento metri, avanzano di venti metri all'anno: una velocità tripla rispetto alla media del secolo precedente. Dal 1990, sabbia, siccità e cemento hanno distrutto 135 mila chilometri quadrati di macchia. La bomba-albero non punta dunque solo a proteggere la Città Proibita dalle tempeste dei deserti: verrà fatta esplodere anche contro il cambiamento del clima e l'avvelenamento dell'aria. Che Pechino scelga la natura per tentare di ricostruire un equilibrio infranto, nel nome della crescita economica ad ogni costo, è una buona notizia per tutti. Resta da dimostrare che il bosco di Stato resista. Gli scienziati sono prudenti. I tremila membri del parlamento manifestano invece ottimismo. Al punto da approvare con un applauso non obbligatorio l'annuncio del premier Wen Jiabao: 7 miliardi di euro per riforestare il fronte nord della nazione. Betulle e pioppi, assieme a faggi e abeti, sono solo l'inizio dell'ultima battaglia di Pechino. Per garantire l'irrigazione iniziale delle piante, nei prossimi anni saranno deviati anche ventiquattro fiumi, a partire dal Fiume Giallo.
I fatti del resto non lasciavano alternative. Anche in Cina il clima, nell'ultimo decennio, si è discostato dalla ciclicità dei secoli passati. Le contee interne e del Nord, tra gli altipiani tibetani e la Manciuria, sono flagellate da catastrofici periodi di siccità. Le precipitazioni annue, dal 2001, sono diminuite del 37%. Nella zona di Pechino i giorni di vento sono saliti da una media di 136 a 178 all'anno.
La capitale, nel 2010, è stata raggiunta da 56 tempeste di sabbia. Costi e danni economici sono incalcolabili. Uno studio dell'Accademia delle scienze ha rivelato che 5 milioni di abitanti della municipalità sono a rischio diretto entro i prossimi cinque anni. Sabbia, polveri sottili ed emissioni del carbone usato per industrie e riscaldamenti formano un cocktail mortale. La fascia agricola che circonda Pechino negli ultimi cinque anni si è ridotta del 12% e nella nazione vivono 400 milioni di eco-profughi. Sono i contadini costretti ad abbandonare la terra resa sterile dalla sabbia e dai veleni, pericolosamente ammassati oggi nelle metropoli.

"
Mezzo secolo di follia - dice Zheng Guoguang, capo dell'ufficio meteorologico di Stato - ha prodotto mutamenti irreversibili. Deforestazione e desertificazione delle aree coltivate sono l'effetto immediatamente più pericoloso. Dove smettono di crescere alberi, cessa di scorrere l'acqua. Pechino è minacciata dal deserto: ma prima rischia di morire di sete". La popolazione della capitale è mobilitata. Il sindaco ha invitato ogni abitante ad acquistare e piantare un albero seguendo il tracciato della Grande Muraglia, che scorre pochi chilometri oltre la periferia. Ognuno potrà far crescere la pianta preferita, alberi da frutto compresi: questo primo tratto di nuova foresta si chiamerà "Bosco del millennio". Le autorità comuniste sperano che l'umidità generata dalla selva, respingendo la sabbia verso i deserti mongoli e russi, induca anche la formazione di nuvole e lo scarico di piogge. Il 90% delle antiche sorgenti imperiali è prossimo all'estinzione, i laghi Ming sono ridotti a spiagge di quarzo e i pechinesi temono di doversi concentrare presto sulla costa ad est di Tianjin. A meno che una foresta artificiale, nella culla della deforestazione asiatica, torni a salvare la nuova capitale del pianeta.

(10 marzo 2011)

3 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

UN'IMPRESA TITANICA, ENTUSIASMANTE, UNA LOTTA PER LA VITA.
CI RIUSCIRANNO? DEVONO RIUSCIRE! E POI, NON SONO CERTO ITALIANI.

Francy274 ha detto...

Anche da Noi, in Sila, c'è una lotta per la vita... si, ma da parte degli alberi che vengono decimati giorno per giorno per i più svariati motivi :(
Già, noi non siamo cinesi.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

APPUNTO...