CARLO BONINI
Giorni. Pochi giorni. Non mesi. Tantomeno settimane. Le ragioni, l'agenda e i delicati equilibri che tengono insieme le cancellerie di Parigi e Londra,
Una violenta spallata pianificata, di qui ai prossimi giorni, da una routine di fuoco in diverse e ripetute ondate. Di giorno e di notte. Cui saranno chiamati a partecipare i caccia dell'intera coalizione. Che accechi il sistema di difesa libico e ne pieghi la resistenza. Che risparmi alle opinioni pubbliche occidentali e arabe lo spettacolo di un nuovo cruento pantano nel deserto utile solo a rafforzare Muhammar Gheddafi. Evocativa persino nel nome scelto dai comandi americani (il generale Carter Ham del comando Africa-Mediterraneo e l'ammiraglio Sam Lockler della quinta flotta): una "Odissea all'Alba" che scommette su una reazione emotiva nei bunker di Tripoli, nei quadri ufficiali dell’esercito e dell’aviazione libici in grado di squagliare rapidamente quel che resta della esile catena di comando politico-militare che ancora si stringe intorno al Colonnello.
Il "tempo" - come sostengono in queste ore qualificate fonti militari italiane e americane - diventa dunque la chiave di uno scenario bellico dalle forze convenzionali impari. In cui i numeri, per altro incerti, raccontano di un esercito della Jamahiriya male in arnese. Di una potenza regionale da 93mila uomini in armi tra truppe regolari e miliziani. Un tempo formidabile, ma oggi consumata da vent'anni di un embargo che, tra la metà degli anni Ottanta e i primi anni 2000, ne ha invecchiato gli arsenali, per lo più di fabbricazione sovietica, e ridotto le capacità operative. Buona con i suoi 600 vecchi carri T-62 e T-72 e i suoi blindati per annichilire una rivolta di popolo o una minaccia regionale. Non per sottrarsi, in assenza di un ombrello difensivo aereo adeguato, a una pioggia di missili da crociera esplosi dal mare da incrociatori e sottomarini o al "tiro al piccione" nel deserto da parte di caccia di ultima generazione francesi, inglesi, americani. Come del resto le prime ore di guerra hanno già dimostrato.
Quel che resta dell'aviazione del Colonnello e del suo sistema missilistico di difesa terra-aria "Sam" non ha infatti alcuna possibilità non solo di oltrepassare il raggio di azione del proprio spazio aereo, ma neppure di reggere alla potenza elettronica, prima ancora che di fuoco, con cui
"Gheddafi non è uno sciocco e non getterà i suoi aerei nelle nostre fauci. Se dovesse resistere al primo urto, non sacrificherà in una notte le sue batterie di lancio. Eviterà, per non perderla in pochi secondi, di impegnare tutta la sua difesa contraerea. Per non parlare della sua marina, una cenerentola che, in questo momento, non è in grado di contendere il mare alla flotta alleata che ha di fronte", conviene una fonte militare italiana. Non è un caso che, ieri, l'aviazione francese non abbia incontrato alcuna resistenza aerea. E non è un caso che nei war games, le simulazioni con cui in questi ultimi giorni gli stati maggiori alleati hanno già combattuto decine di volte una guerra appena cominciata, il Rais venga accreditato di mosse più ferocemente creative. Gli scudi umani, nell'oscena tradizione dell'Iraq di Saddam e come già denuncia da Londra il "Democratic Libya Information Bureau", voce dell'opposizione libica in esilio, che parla di "detenuti e bambini a protezione di obiettivi militari". O, ancora, la presa di ostaggi di chi, occidentale con in tasca il passaporto di un Paese della coalizione dei volenterosi, sia ancora su suolo libico. Peggio, l'incendio dei pozzi petroliferi di Ras Lanuf, Marsa el Brega, Tobruk. Questa sì, mossa in grado di scatenare un'apocalisse ambientale nel Mediterraneo, di complicare i piani alleati e di trasformare l'Odissea all'alba in un Inferno.
(20 marzo 2011)
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