lunedì 28 marzo 2011

Siamo il pilastro dell'alternativa


Ecco la mia intervista pubblicata questa settimana su Gli Altri.

«Ma quale comunista! Sono cose che diceva Gesù e sono scritte nel Vangelo». Accostamento ardito, e un po' blasfemo. Peraltro il Messia scacciò i mercanti dal tempio, Antonio Di Pietro s'accontenterebbe di cacciare i “pirati” dal mercato. Dove per “mercato” s'intende quello dell'economia, che il leader dell'Italia dei Valori certo non rinnega, ma neppure beatifica. E per “pirati” i capitani d'industria che sfruttano e delocalizzano, celando le proprie malevole intenzioni dietro il paravento della recessione globale. Stato sociale, diritti e beni universali. Se è giusto come è giusto – nel marasma dei dissesti planetari – non perdere di vista l'ombelico della nostra misera Italia, allora da lì bisogna partire, da una ricetta per «uscire dalla crisi». Un pacchetto di riforme per un nuovo welfare, che faccia rifiatare le imprese e restituisca dignità al lavoro. Da questa «battaglia di civiltà», insieme alla campagna referendaria contro il nucleare, la privatizzazione dell'acqua e il legittimo impedimento, passa la costruzione dell'alternativa al berlusconismo, che il leader dell'Italia dei Valori immagina interna al perimetro del centrosinistra, in un recinto schiettamente bipolare. Unico problema: l'ostracismo del Pd: «Ci snobbano, ci mettono all'angolo. Vorrebbero fare a meno di noi, salvo poi accorgersi che portiamo avanti programmi ragionevoli e condivisibili».

Onorevole, gli attriti col Pd non fanno più notizia. Cos'è che non funziona nei rapporti con i dirigenti democratici?
Con il Partito Democratico vi è purtroppo un rapporto ancora limitato ad esigenze “numeriche” più che programmatiche. Questo perché nel Pd le troppe anime che vi convivono non riescono a trovare un punto di incontro su molti temi dell’agenda politica, fra cui lavoro, economia, ambiente ed energia. Soltanto poche settimane fa il Pd osteggiava i tre referendum sostenuti dall’Italia dei Valori, dicendo che avrebbero aiutato Berlusconi. Oggi invece prendo atto che li hanno fatti propri. Ma è un’intestazione fittizia a scopo di lucro elettorale.

“Dare da bere agli assetati...”. In piazza ha citato il Vangelo. Ma sull'acqua pubblica il Pd prende tempo. Bersani è un cattivo cristiano?
Che le devo dire, i problemi del Pd sono conosciuti, mentre le soluzioni non sono conoscibili. Ma non spetta a me intervenire sui loro distinguo. Quello che posso confermarle è che l’Italia dei Valori si muove all’interno di un recinto bipolare e dentro il bipolarismo intende costruire un programma alternativo a Berlusconi. Bisogna salire un gradino alla volta, non avere fretta di fare il passo più lungo della gamba e accontentarsi di partire dal minimo comune denominatore dell’alleanza. Mi lasci dire però che il nostro partito è mal tollerato. A differenza di quanto avviene nella maggioranza, dove la Lega è vissuta come anomalia ma viene coccolata, l’Idv nel centrosinistra viene letteralmente bistrattata. C’è nei nostri confronti un ostracismo continuo e credo sarebbero molto più contenti se non ci fossimo, perché siamo la coscienza critica su alcune politiche ambigue e su alcuni comportamenti poco chiari a livello territoriale. Ma recriminare serve a poco, l’Italia dei valori deve consolidare la propria forza soprattutto nell’elettorato. Alla fine contano i numeri: più siamo forti più possiamo far pesare le nostre idee nell’elaborazione di linee programmatiche all’interno del centrosinistra.

Quando allude a “politiche ambigue” e “comportamenti poco chiari” sul territorio viene in mente il caso di Napoli.
Io penso semplicemente che la candidatura di Luigi De Magistris possa essere più forte e vincente rispetto a quella indicata in extremis dal Pd. Noi siamo stati limpidi nella nostra proposta: essendo venuta a mancare, attraverso il caso delle primarie, l’individuazione del candidato comune, abbiamo sentito il dovere di avanzare una nostra candidatura, non di bandiera e non di facciata, che potesse rappresentare un esempio di buona amministrazione, all'insegna della discontinuità. E con ottime chances di risultare vincente. Ma abbiamo anche detto sin d’ora che siamo pronti ad appoggiare l’altro candidato al ballottaggio, se dovesse prevalere: lasciamo agli elettori, al primo turno, decidere quale sia la scelta migliore. Come vede anche in questo caso la nostra posizione è stata male interpretata in nome di quel risentito ostracismo cui accennavo prima.

Anche Sel ha fatto lo sgambetto a De Magistris. Nella consultazione interna la maggioranza degli iscritti vendoliani ha scelto il candidato del Pd...
Non lo considero affatto uno sgambetto. È una decisione democraticamente assunta, che noi rispettiamo, ma che non ha implicazioni definitive: rimettiamo agli elettori di Sel una valutazione più complessiva e più concreta al momento del voto. In ogni caso il nostro impegno è fare una campagna non contro un pezzo del centrosinistra, ma in alternativa al centrodestra. Siamo sicuri che al secondo turno troveremo un punto di incontro.

Nei suoi riguardi, lo ha fatto capire prima, non sono così premurosi. Nelle due uniche realtà in cui l'Idv ha avanzato una candidatura autonoma, Napoli e Campobasso, il Pd ha alzato barricate.
Spero che alla provincia di Campobasso si possa ancora raggiungere un accordo, ma quel che è successo lì è paradossale. Pensi che l’Idv ha il doppio dei voti del Pd. Abbiamo proposto la candidatura del massimo responsabile del partito, mentre il Pd non è riuscito ad avanzare nessuna alternativa propria e si è appellato a una consulente del governatore del Molise Iorio, di centrodestra. Questa signora è venuta a casa mia a Montenero di Bisaccia a propormi riservatamente di rompere la coalizione, di appoggiare lei in contrasto col Pd e in accordo con il Terzo Polo. Le ho detto testuali parole: “Non posso rompere la coalizione, non posso tradire il mio impegno col Pd”. Per tutta risposta lei è andata dai dirigenti democratici e ha realizzato l’accordo contro di me, nonostante io abbia avvisato il segretario Bersani senza ricevere alcuna risposta. Credo che questo episodio, al di là del comportamento discutibile e interessato del soggetto in questione, sia abbastanza paradigmatico. Pur di farmi un dispetto sono caduti nella trappola. Un comportamento deplorevole, ma mi auguro che questa posizione rientri.

Non c'è solo la partita delle amministrative. Su alcuni temi, in particolare sul mercato del lavoro, nel centrosinistra ci sono sensibilità differenti. Brucia ancora la lacerazione sul caso Fiat?
Noi chiediamo al Pd di iniziare un confronto programmatico su questo capitolo fondamentale, ribadendo la posizione di principio dell'Idv: no allo scontro lavoratori-impresa, perché ognuno dei soggetti di questo rapporto è essenziale per la vita dell’altro. Non si può chiedere alle imprese di lavorare in perdita, altrimenti chiudono baracca e se ne vanno; non si può chiedere al lavoratore di diventare un moderno schiavo. Per questo servono politiche per il lavoro e politiche fiscali. La peggiore anomalia del terzo millennio è la falsa interpretazione del concetto di flessibilità. La flessibilità può essere un valore aggiunto solo laddove si presenti come reale opportunità per chi la pratica, non se la si subisce “obtorto collo”. Oggi quattro lavoratori su cinque sono costretti a cercarsi un nuovo impiego: in molti casi si tratta di un escamotage del sistema dell’impresa per avere la mano libera sui dipendenti, sbarazzandosene come fossero spazzatura, merce usa e getta. Per questo noi abbiamo fatto una proposta che prevede la flessibilità come opportunità ma non come forca caudina: deve essere un’esperienza a termine che porti a un risultato positivo e non alla fine del lavoro. Ho parlato con il personale della nuova compagnia aerea Cai, mi hanno detto che l’azienda prende tutti a contratti a termine e poco prima della fine dell’ultima proroga utile, ossia i trentasei mesi, anziché stabilizzare il lavoro assume altro personale a termine. Ecco quindi che vi è un abuso della ratio della norma per interessi personali.

Nel libro curato insieme al responsabile lavoro Maurizio Zipponi (gratis con “Gli Altri” la prossima settimana, ndr) emerge il ritratto di un’Italia in ginocchio: imprese che soffrono ma anche imprese che fuggono, che approfittano del paravento della crisi per fare “macelleria sociale”. Come si tampona l'emorragia?
Noi riteniamo che bisogna fare un salto di qualità nella difesa dello stato sociale, del lavoratore e dell’impresa in difficoltà, e che si passi dall’attuale ricorso indistinto alla cassa integrazione guadagni ai contratti di solidarietà. Allo Stato costa la stessa cifra, mentre l’azienda può mantenere il suo know how e il proprio bacino di maestranze e il lavoratore, a parità di retribuzione, può avere la speranza di una soluzione positiva e non di un’agonia a perdere, come accade con la cassa integrazione. Per quanto riguarda il sistema dell’impresa bisogna abbattere i due grandi mostri, l’iniquità fiscale e l’evasione fiscale, che rendono impossibile una leale concorrenza. È proprio la sopravvivenza di oligopoli che genere la diseconomia del sistema e una sostanziale disuguaglianza. La nostra proposta è riassumibile nel 20-20-20: far salire al 20% la tassazione della rendita finanziaria, ridurre al 20% la tassazione sui redditi da lavoro e aumentare del 20% gli stipendi nel giro dei prossimi tre-quattro anni.

Le daranno del pazzo bolscevico.
Sia chiaro: io sono per la libera concorrenza, ma uno Stato che si definisce civile non può avallare la legge del più forte.

L'attenzione ai temi sociali e del lavoro è il perno attorno a cui è ruotata la “metamorfosi” del suo partito, il cui unico faro è stato per lunghi anni il legalitarismo. Cosa è cambiato?
In parte questa metamorfosi c'è stata: siamo passati da un partito nato con l’obiettivo di rilanciare il tema della legalità nel nostro paese – nel momento in cui Berlusconi e il berlusconismo stavano distruggendo la Costituzione, in particolare l’articolo 3 – ad un partito che vuole presentarsi come forza di governo e non solo di opposizione. Non vogliamo essere contemporaneamente l’uno e l’altro, come ha tentato di fare Rifondazione con Prodi e come sta accadendo adesso per la Lega: vogliamo proporre l’alternativa all’interno del centrosinistra e riteniamo che quest’alternativa passi per l’individuazione di alcune priorità. Una di queste è il lavoro. Ma ci sono anche l’ambiente, l’energia, l’economia. Rispetto alle origini la legalità non è più il perno del programma, ma un presupposto imprescindibile. L’Italia dei Valori, da un paio d’anni a questa parte, sta svolgendo un lavoro costante per progettare un’uscita dalle macerie del berlusconismo. Siamo ai colpi di coda di un regime che è una via di mezzo tra il drammatico – per i lavoratori, per l’ambiente, per l’economia – e il ridicolo – per il bunga bunga, le “olgettine” di turno e i baciamano con Gheddafi.

Appunto, Gheddafi. Che giudizio dà della crisi libica e dell'intervento militare?
L’Italia dei Valori si è astenuta sulla mozione del Pdl perché voleva vederci più chiaro sulle reali intenzioni che ci sono dietro. Abbiamo sempre detto che avremmo rispettato le risoluzioni delle Nazioni Unite, ma nei limiti delle stesse risoluzioni e non oltre i loro contenuti. Invece ci sono state violazioni, discrasie tra la lettera della risoluzione e le azioni concrete poste in essere dai governi, vi è stata una corsa in avanti rispetto al mandato Onu, senza copertura. Le Nazioni Unite hanno dato incarico ad una coalizione internazionale – e non ai “volenterosi” – di imporre la no-fly zone, senza che vi fosse un massacro della popolazione libica. Nei giorni scorsi si è fatto qualcosa di più, bombardando Tripoli, le postazioni della contraerea militare, e direttamente Gheddafi. Insomma, un’operazione militare di guerra per rovesciare un regime. Credo che per questo ci voglia un mandato specifico delle Nazioni Unite. E a questo punto non vedo perché puntare solo sulla Libia e trascurare gli altri stati totalitari. Non c’è nulla di più ipocrita di ciò che sta avvenendo in queste ore, e non solo nell’ambito del governo italiano. Fino a quando il piatto ricco si realizzava con Gheddafi al potere, si è chiuso un occhio, anzi due. Ora che il colonnello non serve più abbiamo trovato tanti piccoli La Russa che si sono buttati a fare il gioco della guerra.

Si alza il sipario su una tragedia e cala su un'altra. Già si parla meno del Giappone e del rischio nucleare. Il governo italiano lavora per disinnescare la mina del referendum, magari con l'escamotage di una moratoria...
Dobbiamo impedire che sui referendum venga messo il silenziatore. Le vicende della Libia hanno già fatto passare nel dimenticatoio il dramma dei morti in Giappone e la questione delle centrali nucleari. Tutti quelli che remano contro il referendum hanno interesse a che non se ne parli, che si arrivi in modo soft a quella consultazione elettorale per far saltare il quorum. Noi dobbiamo reagire a questo tentativo di mettere il bavaglio. Il mancato accorpamento con le elezioni di maggio, oltre all'enorme spreco di denaro pubblico, è stato un primo segnale. Ora temo che il governo abbia in mente qualche altro raggiro.

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