domenica 27 marzo 2011

Siria, l'esercito entra a Latakia per sedare la rivolta contro il regime




L'esercito regolare siriano è entrato in «modo massiccio» sabato sera nella città di Latakia, 350 km a nord-ovest di Damasco, teatro dell'uccisione di almeno quattro persone da parte di non meglio precisati cecchini. L'esercito è intervenuto per sedare le manifestazioni contro il regime di Bashar al Assad nella città portuale capoluogo della regione alawita, da cui proviene la famiglia presidenziale degli Assad. Qui centinaia di persone erano scese in piazza; alcuni manifestanti avevano attaccato gli uffici del partito di governo Baath, appiccando il fuoco. Nel pomeriggio la città era stata teatro di un intenso scontro a fuoco: sette i morti caduti sotto il fuoco delle forze di sicurezza, a quanto riferito dai siti di attivisti siriani su Facebook e Twitter, che mostrano anche un video amatoriale che riprenderebbe la morte in diretta di uno dei giovani. A differenza di quanto finora successo nel sud della Siria, dove i militari sono rimasti ai margini delle città e dei villaggi investiti dalle proteste senza precedenti, l'esercito è entrato nel centro cittadino «per riportare l'ordine».

LA PROTESTA A DARAA - Nel frattempo le forze di sicurezza siriane hanno lanciato gas lacrimogeni per disperdere centinaia di manifestanti che avevano organizzato un sit-in in una delle principali piazze di Daraa, nel sud della Siria, la città epicentro delle proteste nel sud del Paese. Centinaia di manifestanti si erano radunati nella piazza principale, cantando e scandendo slogan alla «libertà». Giovani a torso nudo si erano arrampicati sulle macerie della statua del defunto presidente Hafez al Assad, padre dell'attuale capo dello Stato, che i dimostranti hanno abbattuto venerdì, appendendo uno striscione con la scritta: «Il popolo vuole la caduta del regime». In un villaggio vicino, Tafas, sono stati dati a fuoco il quartier generale del partito Baath e un commissariato, nel corso dei funerali di un manifestante ucciso venerdì. Come già successo nelle altre nazioni del Nord Africa e dell'area mediorientale, alle manifestazioni contrarie al regime al potere si sono tuttavia affiancate quelle dei sostenitori dell'attuale governo e inneggianti al presidente Bashar al Assad a Damasco.

MOBILITAZIONE VIA FACEBOOK - Da giorni, sulla propria pagina Facebook, il gruppo «The Syrian revolution 2001» giunto a oltre 85mila fans ha pubblicato appelli in arabo e inglese per una mobilitazione generale in tutto il Paese. L'ennesima protesta giunge dopo la sanguinosa repressione di venerdì, che ha provocato oltre 30 morti. Repressione che contraddice chiaramente le promesse di riforme del governo, con la revoca in tempi brevi dello stato di emergenza che risale al 1963, la messa in campo meccanismi «efficaci» per lottare contro la corruzione, una legge che renderebbe possibile la nascita di partiti politici e l'instaurazione di una commissione di inchiesta sui fatti di Daraa.

LA CITTA' ISOLATA - Daraa, la città simbolo della protesta, è stata teatro venerdì di una carneficina: la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti in piazza, uccidendo almeno una quindicina di persone. Intorno alla moschea Omari da oltre una settimana sono accampati centinaia di manifestanti che vogliono sola la fine del regime baathista da oltre 40 anni al potere. Moschea assaltata nella notte di mercoledì con un bilancio imprecisato di morti. La città è da oltre tre giorni isolata dal resto del Paese con un cordone di sicurezza e posti di blocco che controllano chiunque voglia entrare o uscire. Non è andata meglio a Sanamein, un sobborgo a metà strada tra Daraa e Damasco, dove le forze di sicurezza avrebbero ucciso almeno 20 persone, aprendo il fuoco contro i manifestanti che tentavano di raggiungere il centro per unirsi alle proteste. E la repressione è in azione anche nella capitale Damasco dove venerdì un tentativo di manifestazione è stato stroncato con la forza, l'arresto di oltre 20 attivisti e la morte di tre manifestanti in un quartiere periferico della città.

«150 VITTIME» - Si stilano intanto i primi bilanci. Secondo fonti mediche di Daraa, citate dalla tv araba Al Jazeera, più di 150 persone sono state uccise nel sud della Siria in sette giorni di repressione da parte delle forze di sicurezza. Il numero è di tre volte superiore rispetto alle stime di Amnesty International, che ha invece parlato di almeno 55 persone rimaste uccise durante le proteste anti-regime. Il conteggio dei morti è tuttavia difficile anche per la difficoltà di circolazione delle informazioni.

LA FARNESINA: CAUTELA NEI VIAGGI - «Stiamo seguendo da vicino la situazione insieme ai partner europei - ha spiegato all'Ansa il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari - e siamo fortemente preoccupati dall'escalation di violenza». Violenza che «condanniamo sotto ogni forma» auspicando anche «la cessazione della repressione delle manifestazioni». «Auspichiamo inoltre - ha aggiunto - che il governo di Damasco dia rapido e concreto riscontro alle riforme annunciate e attese dalla società civile, dalla cui realizzazione potrà arrivare un importante contributo alla stabilizzazione del Paese». La Farnesina raccomanda la cautela per coloro che intraprendono un viaggio in Siria. E li invita a tenersi costantemente aggiornati sull'evoluzione della situazione, segnalando la propria presenza nel Paese all'Ambasciata a Damasco (oltre l'iscrizione al sito www.dovesiamonelmondo.it).

Redazione Online
26 marzo 2011

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