giovedì 3 marzo 2011

Succhi di frutta e merendine La sceneggiata del regime per i dannati alla frontiera



DOMENICO QUIRICO

Il Colonnello mi ha regalato ieri due succhi di frutta alla mela, buoni, un vasetto di acqua di rose dal poetico marchio «spirito della vita» e «senza microbi infetti»; e una merendina al cioccolato, di quelle scolastiche, nel pacchetto sotto vuoto. Avrei potuto ottenere di più, in bevande e alimenti, perché i suoi uomini, ieri generosissimi, cercavano di riempirmi le tasche, quasi dovessi traversare il deserto. Seccava loro di gettar via molto ben di dio di cui eran zeppi i loro scatoloni. Erano lì per dimostrare che nella Salò dell’irrancidito uomo di Tripoli si ciabatta nell’abbondanza. Come un tempo.

Ras al Jedir ore tredici, frontiera dei dannati, appuntamento a sorpresa con l’operazione propaganda di Gheddafi. Sembra una impresa disperata risalire, dopo che le sorti del regime si sono fatte così disperate e sbilenche; mezzo Paese, almeno, si affaccenda a bruciarne i ritratti e ne malmena la memoria come se fosse già estinto. Ma ieri, anniversario di una rivoluzione ormai lardellata di macchie, il Quasi Vinto ha dato
segni di riscossa anche militare. Bisognava essere presenti su tutti gli scherni planetari anche qui, alla frontiera Est, dove una tragedia umanitaria volge gli occhi del mondo e offre nuovi spunti alle tentazioni interventiste dell’Occidente.

Gli uomini della Guida suprema sono arrivati al varco con la Tunisia in gran chiasso, sulla scia di energiche onde sonore, sirene, clacson, e strilli da stadio. Da qualche ora il flusso dei fuggiaschi che il giorno prima aveva assunto cadenza da alluvione si era fermato. Di colpo. Misteriosamente. Nel grande spiazzo davanti alla barriera tunisina restavano solo sparuti gruppi di lavoratori del Bangladesh, seduti, in attesa da ore. Dalle costruzioni della dogana libica dove gli esuli sbucavano a gruppi, a torme, sparpagliandosi dappertutto, solo vuoto e silenzio. Di colpo potevi vedere i resti di questo disperato uragano composto di uomini. La terra è scomparsa: sopra è disteso uno spesso tappeto composto dei resti di decine di migliaia di disperate avventure umane, ciò che i settantacinquemila che sono già passati di qui hanno abbandonato prima dell’ultimo guizzo verso la salvezza. Sono rifiuti, bottiglie vuote, oggetti fracassati nella calca, valigie sfondate. Ma anche altro: spunta un diario fitto di note, un mazzo di fotografie che migliaia di scarpe hanno annerito ma dove intravedi ancora i volti di un gruppo di asiatici in posa, dietro di loro un cantiere, e poi giocattoli destinati ai figli a casa, vestiti, scarpe, un povero consumismo di emigranti diventato un peso inutile.

I libici hanno dunque fermato il flusso dei profughi, dicono che ce ne siano ancora decine di migliaia forse sessantamila: perché avevano bisogno di spazio per lo show.
Le dittature al tramonto hanno questi guizzi piazzaioli, fanno le mancerose, commediano salute ed entusiasmo. E’ il segno più manifesto, di solito, che si è imboccato l’ultimo quarto d’ora.

Sui pick up strambustano una cinquantina di volenterosi dalle ugole possenti, con ritratti del Colonnello e bandiere verdissime della Jamahiriya, sembrava scomparsa, televisivamente annientata in queste settimane dalle nuove bandiere libiche. Eccola qui invece, i fedelissimi se ne avvolgono, come di una divisa, li guardano con la tenerezza del serpente per la sua vecchia pelle. Presidiano lo spettacolo, con i mitra e le divise nere, poliziotti dall’aria fegatosa e cannibalesca ma oggi volonterosamente mansueta. «Gheddafi per sempre», «lo difenderemo con i nostri corpi», e ancora si lasciano andare a ditirambi dispettosi verso la tv Al Arabiya considerata come l’istigatrice dei guai del Colonnello. «Dietro tutto c’è Bin Laden» inveisce un forsennato in grisaglia poliziesca. Si sgolano, ci danno dentro i gheddafisti: perché un operatore issato su una jeep filma tutto minuziosamente.

Ma il colpo a sorpresa è un altro. Dai camion vengono tirati fuori scatoloni di cibo e bevande. Con grandi gesti i propagandisti invitano i fuggiaschi a farsi sotto, a servirsi: la Libia non vi caccia, il Colonnello vi vuole bene. I tunisini hanno sfamato da giorni i profughi gettando loro del pane e dell’acqua. Il ricco Gheddafi capovolge il loro gesto, vuol mostrare che è più generoso, e allora regalerà dolci e acqua di rose. Nella turba nessuno si muove, negli occhi di questi uomini esausti passa solo un’ombra scura.

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