ANTONIO MASSARI
Il gip di Catanzaro ha disposto trenta archiviazioni per altrettanti indagati. Svanisce così l'ipotesi di un comitato d'affari e di una cupola di magistrati che per anni operò in Campania. Il gip definisce "lacunoso" il castello accusatorio. L'ex pm, ora politico dell'Idv fu trasferito a Napoli ancora prima che iniziasse il dibattimento
In Basilicata non operò alcun “comitato d’affari”. La “cupola” di magistrati, politici, imprenditori e membri delle istituzioni, ipotizzata dall’ex pm Luigi de Magistris nell’inchiesta “Toghe Lucane”, è svanita con l’archiviazione disposta dal gip di Catanzaro: trenta archiviazioni su trenta indagati. Il segno di una completa disfatta, per l’impianto accusatorio, che non ha retto neanche l’udienza preliminare.
Le accuse erano gravi: corruzione, abuso d’ufficio, associazione per delinquere. Gli indagati erano “eccellenti”. Ne citiamo alcuni. L’ex governatore lucano, ex sottosegretario del governo Prodi, Filippo Bubbico (Pd). L’ex membro del Csm, ex senatore di An, Nicola Buccico. Ben cinque magistrati: l’ex procuratore generale di Potenza Vincenzo Tufano, l’ex procuratore aggiunto Gaetano Bonomi, l’ex pm della dda (oggi al tribunale di Roma) Felicia Genovese, l’ex presidente del tribunale di Matera Iside Granese, il procuratore capo di Matera Giuseppe Chieco. Erano queste le “toghe lucane” che partecipavano al “comitato d’affari” ipotizzato da de Magistris: l’euro parlamentare dell’Idv fece appena in tempo a chiudere l’inchiesta, prima di essere trasferito a Napoli, come giudice del Riesame, dopo la punizione del Csm.
L’ipotesi dell’ex pm napoletano non ha retto, e per ben due volte, visto che anche il pm Vincenzo Capomolla, che ereditò l’inchiesta, chiese l’archiviazione invece del rinvio a giudizio. Alcune parti si opposero, il procedimento è arrivato in udienza preliminare e due giorni fa ha subìto la seconda bocciatura, firmata dal gip di Catanzaro, Maria Rosaria di Girolamo, che ha rimarcato la mancanza di “un qualunque accordo criminoso” e di qualsiasi reato per ciascun indagato.
Il castello accusatorio è “lacunoso” scrive il gip. Una parte corposa dell’ipotesi accusatoria – furono sentiti come testimoni anche due stimati gip di Potenza: Alberto Iannuzzi e Rocco Pavese – si fondava sulle presunte “interferenze” che un gruppo di magistrati (tra i quali il procuratore generale Tufano) avrebbero esercitato su Henry John Woodcock, all’epoca pm di Potenza, prima di passare alla procura di Napoli. Nessuna interferenza, invece, è stata provata e ha retto dinanzi ai giudici di Catanzaro. E questa – comunque la si voglia guardare – era e resta una pessima notizia: l’immagine della magistratura lucana, fotografata dall’inchiesta di de Magistris, risultò compromessa dalle accuse e dai sospetti emersi dalle indagini. Un’immagine che quest’archiviazione – restituendo dignità agli ex indagati, risultati innocenti – riesce persino a peggiorare: per l’inchiesta di de Magistris viene certificato il “fallimento” completo. Un fallimento doppio, perché de Magistris non l’ha potuto incassare (o difendere) di persona, considerato che l’indagine gli fu tolta e fu trasferito a Napoli. Chi l’ha ereditata, ha dovuto sostenere l’accusa contro le “toghe lucane” e il “comitato d’affari”, partendo da zero e studiando ognuna delle 200mila pagine d’indagine. Nicola Piccenna, giornalista e parte offesa nel procedimento, ha obiettato che l’inchiesta è stata “spezzettata”, a discapito del quadro accusatorio impostato da de Magistris.
Per quanto spezzettata, però, resta un dato: trenta archiviazioni su trenta indagati. Una stroncatura piena. Un ultimo dato: l’archiviazione dimostra, sotto il profilo processuale, che nessuna interferenza ci fu contro Woodcock e le sue inchieste lucane. Resta da chiedersi, quindi, perché parecchi magistrati siano stati chiamati a testimoniare questa interferenza. E perché mai l’abbiano testimoniata. Nessuno dubita della loro onestà, né dell’onesta delle loro dichiarazioni, anzi. E non si può neanche dubitare di un’archiviazione piena e senza appelli. Resta il sospetto che, quella presunta interferenza, non abbia costituito alcun reato ma, pur senza rilievi penali, in qualche modo vi sia stata. E allora, con il sospetto, resta l’amarezza: le indagini penali devono puntare ai reati. I reati non sono stati riscontrati. Possiamo riscontrare, invece, che la storia di “toghe lucane” è una delle peggiori fotografie della nostra magistratura.
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