di Marco Travaglio
Prima di venire sommersi dalla prevedibile ondata di commenti sull’arresto di Massimo Ciancimino, quei commenti all’italiana fatti apposta per intorbidare le acque, mettiamo in fila i fatti.
Nel luglio scorso il figlio di don Vito consegna alla Procura di Palermo la fotocopia di una cartolina: a sinistra, una lista di nomi di dirigenti della polizia e dei servizi, più un certo “Gross”, collegato da una freccia a un nome scritto a destra da un’altra mano: “De Gennaro”.
Ciancimino jr spiega che fu lui a scrivere i nomi a sinistra, sotto dettatura del padre, in un promemoria sugli uomini dello Stato definiti dal padre “il quarto livello”; fu invece il padre ad aggiungere di suo pugno “De Gennaro”. Che, a suo dire, è Gianni, l’ex capo della polizia ora capo dei Servizi segreti.
La procura, come per ogni pezzo di carta consegnato da Ciancimino, chiede alla polizia scientifica di accertare l’autenticità del documento.
Ma ecco, qualche settimana fa, il colpo di scena. Ciancimino consegna alla Procura di Palermo una nuova serie di documenti. Fra questi c’è un appunto originale di don Vito su un quasi omonimo di De Gennaro: l’ex magistrato Giuseppe Di Gennaro, poi consulente del ministero della Giustizia per la riforma delle carceri e alto funzionario Onu, erroneamente citato come “De Gennaro”.
Un falso, dunque, il primo accertato nelle carte di Massimo. Che ora è accusato di esserne l’autore.
Se lo sia, e perché, dovrà spiegarlo oggi ai pm di Palermo. Che hanno sempre detto di volerlo valutare parola per parola, carta per carta e ieri, arrestando il teste chiave delle loro indagini proprio alla vigilia della sua deposizione al processo Mori, hanno dimostrato lo stesso rigore di Falcone che arrestò il pentito Pellegriti per aver calunniato Lima; dei giudici di Brescia che arrestarono due marescialli per aver calunniato il pool di Milano; dei giudici di Palermo che arrestarono Di Maggio e altri pentiti tornati a delinquere; dei giudici di Torino che arrestarono Igor Marini per aver calunniato Prodi & C.
Ora le conseguenze politico-mediatiche dell’arresto di Ciancimino rischiano di ingigantire anche quelle giudiziarie.
In teoria, un solo documento falso non può cancellare gli altri autentici; né le intercettazioni in cui Ciancimino parla di soldi dati a politici (Vizzini, Cuffaro, il neoministro Romano); né le rivelazioni rese a verbale e già confermate da sentenze di primo e secondo grado, ma soprattutto da quei politici che hanno ritrovato la memoria vent’anni dopo quando li ha tirati in ballo lui.
Oggi Ciancimino, dopo due anni di stop and go, dovrà finalmente spiegare chi è davvero.
Uno stupido pasticcione che rovina la propria credibilità falsificando un documento su 150, mettendosi contro il potente De Gennaro e portando lui stesso ai pm le prove della sua calunniosa truffa?
Un falso testimone infilato dalla mafia o da altri loschi ambienti per depistare le indagini su stragi e trattative?
La vittima consapevole o inconsapevole di qualcuno che gli ha fornito carte false?
Un uomo ricattato e costretto a “suicidarsi” per screditare tutto quel che di vero aveva raccontato finora?
Solo Ciancimino, ormai, può svelare l’enigma Ciancimino.
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