GIUSEPPE LO BIANCO
A fare arrestare il figlio di Don Vito, il confronto calligrafico tra il documento in cui si accosta De Gennaro al cosiddetto "quarto livello" della mafia e un altro documento, privo di rilevanza giudiziaria, consegnato di sua spontanea volontà due mesi fa dallo stesso Ciancimino
A tradirlo è stato un gioco di prestigio riuscito male, ma organizzato ancora peggio, al punto che i pm si stanno interrogando sul confine tra ingenuità e scaltrezza di Massimo Ciancimino, da oggi pomeriggio richiuso in una cella di sicurezza della questura di Parma, accusato di calunnia nei confronti del responsabile del Dis Gianni De Gennaro. I pm hanno emesso un provvedimento di fermo, domani Antonio Ingroia, Nino Di Matteo e Paolo Guido lo vanno ad interrogare a Parma, sulla sua libertà personale decideranno i magistrati emiliani, visto che Ciancimino jr e’ stato bloccato con tutta la famiglia sull’Autostrada del Sole all’altezza dello svincolo di Fidenza, mentre stava andando in Francia a trascorrere le vacanze pasquali.
Tra le decine di documenti autografi del padre con il bollo di autenticità della scientifica di Roma, 48 ore fa ne è saltato fuori uno falso: una lista di funzionari dello Stato collusi con la mafia consegnata dal teste ai pm nel giugno scorso. Tra i nomi, quello del prefetto, ‘’icona’’ dell’antimafia investigativa di questo Paese. ‘’Quel nome l’ho visto scrivere a mio padre’’, disse il giovane Ciancimino, aggiungendo in un successivo verbale: ‘’il coinvolgimento di soggetti come il De Gennaro di cui mio padre aveva, diciamo, chiare idee e notizie certe, comporta per me una grande paura e una grande riserva”.
Ma quel cognome, De Gennaro, certamente scritto da don Vito, ha stabilito la perizia, è stato apposto posticciamente, come in un fotomontaggio, prelevandolo da un altro documento che conteneva il cognome De Gennaro, riferito, però, in questo caso, al magistrato (Giuseppe Di Gennaro) che fu consulente del ministero della Giustizia. E qui la vicenda si tinge di giallo. Questo secondo documento, che non conteneva particolari notizie di interesse investigativo (solo un’intervista al Tg 2 del magistrato Di Gennaro) ma che ha reso possibile la comparazione della grafia e quindi la scoperta del passo falso, venne consegnato spontaneamente ai pm dallo stesso Ciancimino jr due mesi fa, nel febbraio scorso. Clamorosa ingenuità al confine con la stupidità, desiderio occulto di sabotare le sue precedenti accuse, magari per paura, depistando le indagini, o polpetta avvelenata apparecchiata e servita da altre ‘manine’ per demolire integralmente la sua credibilità?
E soprattutto, il suo ‘’puntare in alto’’, verso i vertici investigativi che hanno fatto la storia della lotta alla mafia è tutta farina del suo sacco, o dietro questo cambio di rotta ci sono suggeritori occulti che agiscono nell’ombra e alle spalle del giovane rampollo palermitano? Domande che oggi si pongono i pm e che probabilmente porranno anche a lui, nel corso dell’interrogatorio di domani a Parma. Dopo l’incriminazione per calunnia dei pm di Caltanissetta e quella per riciclaggio della procura di Reggio Calabria, questo passo falso finale del giovane superteste della trattativa tra Stato e mafia ormai se lo aspettavano in molti.
E non è un caso che a sanzionarlo, con una severità pari al trucco escogitato, siano stati i pm di Palermo, quelli che l’hanno utilizzato come testimone sulla trattativa Stato-mafia e sui presunti rapporti tra suo padre, Dell’Utri e Silvio Berlusconi, attirandosi da più parti l’epiteto di toghe rosse. Ma che, come ha sempre ripetuto Antonio Ingroia, hanno anche sempre ribadito una posizione “laica”: “Le dichiarazioni di Massimo Ciancimino vanno valutate caso per caso. Sono attendibili e apprezzabili solo quando sono riscontrate“. Quegli stessi magistrati oggi sono intervenuti tempestivamente per metterne a nudo i giochi di prestigio che non compromettono la tenuta delle inchieste in corso. ‘’In fondo – dicono in procura – che ci potesse essere alle sue spalle un suggeritore occulto, ce lo siamo sempre chiesti, ma non bisogna dimenticare che l’accusa nelle inchieste e nei processi in corso si regge su elementi di riscontro alle sue parole e su altri elementi del tutto autonomi’’.
Le inchieste e i processi continuano, dunque, e se questa vicenda rafforzerà il setaccio giudiziario attraverso cui i suoi segreti verranno passati, a cominciare dalla trattativa tra mafia e Stato, oggi il teste Ciancimino è a un bivio: ‘’Speriamo che la smetta di giocare e si decida a dire finalmente tutta la verità’’, dicono in procura. Nessuno dimentica che sono state le parole di Ciancimino jr a sollecitare la memoria di illustri esponenti delle istituzioni che fino a quel momento si erano ben guardati dal riferire ciò che sapevano, ma nessuno può ignorare che nelle procure di mezza Italia, compresa Palermo, la misura è ormai colma. La sovraesposizione mediatica ha trasformato in mito antimafia il figlio minore del gran burattinaio degli affari palermitani a cavallo tra politica e mafia, che ha deciso, per motivi suoi, di rompere, con modi e tempi tutti suoi, l’omertà paterna definendosi, poi, nelle conversazioni intercettate con un imprenditore vicino alla ‘ndrangheta, un ‘’icona dell’antimafia’’. A dicembre si vantava di fare ‘’quello che minchia voglio là dentro (in procura, ndr)’’, giurando sulla propria piena impunità. Oggi, a sue spese, ha capito che così non è, e che alle sirene di uno che si chiama Ciancimino, questa città, come si dice, ha già concesso abbastanza.
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