Risse tra reclusi, proteste violente
Dove è finito il Piano di Alfano?
di Silvia D’Onghia
Scene da far west, di là dal muro che divide le persone libere da quelle recluse. Otto detenuti si fronteggiano con l’uso di lamette, alcune delle quali applicate a piccole aste, in modo da formare rudimentali rasoi. Alcuni di loro rimangono feriti. A dividerli i troppo pochi agenti penitenziari. Accade il 10 marzo, nel carcere di Reggio Emilia, in cui vivono 322 persone,
Due giorni dopo parte la protesta nella casa circondariale di Porto Azzurro, sull’Isola d’Elba: a orari stabiliti i detenuti percuotono i cancelli delle celle con pentole e ogni oggetto reperibile. Sono rinchiuse qui 310 persone contro una capienza di 238.
Il 21 marzo il teatro della rivolta è il Marassi di Genova: due risse nell’arco di una sola giornata, tunisini contro albanesi, anche in questo caso tutti armati di lamette. Uno di loro rimane sfigurato al volto.
Lo scorso fine settimana, a Novara, un detenuto aggredisce due sovrintendenti della polizia penitenziaria.
Nello stesso giorno, a Sollicciano, un agente si è ritrovato con la frattura del setto nasale. Proteste pacifiche invece a Venezia, dove il vicesindaco ha chiesto l’intervento del ministero della Giustizia e l’Ordine degli Avvocati la chiusura della struttura.
Il motivo delle rivolte è, ovunque, lo stesso: in cella non si vive, costretti a stare anche in otto persone, in letti a castello a tre piani, senza neanche la possibilità di stare tutti in piedi contemporaneamente. Con i cessi accanto alla branda, con gli spazi comuni che diventano formicai per poche decine di minuti al giorno. Senza attività ricreative, senza rieducazione, senz’aria. Rispetto a una capienza media di 45 mila, quasi 68 mila persone (67.648 secondo i dati dell’associazione “A buon diritto”) vivono così, anzi, non vivono così. Ecco perché sono quotidiane le risse, così come i suicidi.
MEHEDI Kadi era un 39enne algerino, arrestato nell’ottobre del
Mario Germani, 29 anni, è ricoverato in condizioni gravissime dopo aver tentato di suicidarsi nella sua cella del penitenziario di Viterbo il 2 aprile. Era stato arrestato nei giorni precedenti per essere evaso dai domiciliari.
Nello stesso giorno è morto a Novara un suo omonimo, Mario Coldesina, 42 anni. Secondo i primi accertamenti, il decesso è avvenuto per soffocamento.
Giovedì scorso a non farcela è stato Carlo Saturno, il ragazzo barese di 22 anni per la morte del quale
Dall’inizio dell’anno sono già 39 le persone morte nelle carceri italiane. La loro età media era di 37 anni.
Ieri i carabinieri del Nas hanno salvato oltre un milione e centomila galline “prigioniere” in gabbie sovraffollate ben oltre i limiti di legge. Nessuno, invece, salva i detenuti. “Vige una cappa censoria – spiega Irene Testa, segretaria radicale de “Il detenuto ignoto” –. Nessuno ne parla. Non lo fanno i parlamentari, non lo fa il governo, non lo fanno gli enti locali, non lo fa la tv. Gli italiani non sanno cosa accade oltre i muri”.
La deputata radicale Rita Bernardini qualche mese fa ha depositato un disegno di legge per estendere anche ai sindaci e ai presidenti delle Province la prerogativa di sindacato ispettivo. “Se anche i primi cittadini potessero entrare in carcere come i parlamentari – prosegue Testa – forse si renderebbero conto dell’emergenza”. Finora alla proposta hanno aderito 62 sindaci e 21 presidenti di Provincia.
Nel gennaio 2010, il ministro Alfano decise lo stato d’emergenza. Sarebbe dovuto cambiare tutto e invece, 15 mesi dopo, la situazione è peggiorata.
Il Piano straordinario è morto nei cassetti del Guardasigilli e del commissario Franco Ionta. È stato inaugurato qualche padiglione che poi è rimasto vuoto per mancanza di poliziotti. Ionta ha dichiarato a Rai News che i 700 milioni di euro necessari al Piano carceri sono depositati su un conto presso
VERGOGNA nella vergogna: per far “non vivere” 68 mila persone, lo Stato ha speso – tra il 2001 e il 2010 – oltre 28 miliardi di euro, cui vanno aggiunti i fondi stanziati per il Piano e la spesa per l’assistenza sanitaria, 90 milioni annui. Il 79 per cento dei costi dipendono dal personale, solo il 13 per cento dal mantenimento dei detenuti, il 4 per cento dalla manutenzione delle carceri.
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