lunedì 4 aprile 2011

PROCESSO RUBY La nipote di Mubarak ha in pugno il Caimano


Da mercoledì in tribunale: tutto è nato da un furto e una bugia

di Gianni Barbacetto e Antonella Mascali

È stato dapprima un rumore di fondo, un pasticciaccio segreto, un incubo incombente, una storia fuori fuoco. Poi scandalo del bunga-bunga. Ora il caso Ruby, neppure un anno dopo il suo avvio, diventa processo pubblico, giudizio immediato. La mattina di mercoledì 6 aprile l’imputato unico Silvio Berlusconi comparirà davanti ai suoi giudici e ai mezzi d’informazione di tutto il mondo. Le telecamere saranno molto probabilmente tenute fuori dall’aula, ma non gli occhi e le orecchie dei cronisti. Concussione, prostituzione minorile: a queste accuse dovrà rispondere il presidente del Consiglio pro tempore. “Sono vittima innocente di una persecuzione politica da parte delle toghe rosse”, si difende lui. In aula si ricostruirà, pezzo dopo pezzo, un’altra storia. Iniziata per caso nel maggio del 2010.

POLIZIOTTI. I granelli di sabbia che hanno bloccato i ben oliati ingranaggi del bunga-bunga si chiamano Marco Landolfi e Luigi Ferrazzano. Sono i due poliziotti del commissariato di Milano Monforte che firmano una relazione di servizio “sull’intervento effettuato in data 27 maggio 2010”, quando “si è provveduto ad accompagnare presso gli uffici della locale questura tale El Mahroug Karima”. È una ragazza vistosa, ha “un toppino tipo prendisole e dei jeans, ma non ha altro addosso”, dice un altro poliziotto, Ermes Cafaro, che chiama subito la procura dei minori. Ha 17 anni, è marocchina, si fa chiamare Ruby.

È stata fermata alle 19.13 in un centro di bellezza di corso Buenos Aires: un’amica, Katia Pasquino, l’ha denunciata per furto (3 mila euro e alcuni gioielli). Operazione di routine. A Milano cose così capitano spesso. Ma in questura succede una cosa che prima non era mai capitata: alle 23.49 telefona da Parigi il presidente del Consiglio. Chiede al capo di gabinetto della questura, Pietro Ostuni, di lasciar andare la ragazza, perché è “la nipote di Mubarak”. Invece di rimandarla in una comunità, come ordina il pm dei minori Anna Maria Fiorillo, la si affidi a una “consigliera ministeriale” prontamente arrivata in questura. È Nicole Minetti, ex ragazza-altalena della tv, diventata consigliere regionale (ma non ministeriale). Così insiste Berlusconi. Ruby, che dalle comunità per minori è già più volte scappata, viene identificata, fotosegnalata, ma poi affidata a Mi-netti, che a sua volta la lascia nelle mani di una prostituta brasiliana, Michelle Coincecao Santos de Oliveira, che era stata la prima a dare l’allarme. Aveva avvertito Berlusconi (di cui aveva il numero privato) che Ruby era stata portata in questura. E Ruby, così chiacchierona (e così minorenne), era un pericolo.

Il perché lo si scoprirà solo in seguito. Intanto, il 5 giugno 2010 i poliziotti devono tornare a occuparsi di Ruby, che li chiama al culmine di una violenta lite con Michelle. Le due si accusano a vicenda di essere ladre e prostitute. La minorenne finisce prima all’ospedale, poi in una comunità. E parla. Racconta di avere molti soldi a disposizione, di conoscere nientemeno che Silvio Berlusconi, di essere stata più volte ad Arcore. La procura dei minori stila relazioni che invia anche alla procura di Milano. Se ne occupano, dapprima separatamente, due magistrati, Antonio Sangermano (per la lite con Michelle) e Pietro Forno (per le segnalazioni del tribunale dei minori). È una storia strana, che a prima vista sembra frutto di fantasie o vanterie. La procura decide di procedere con i piedi di piombo: non dar credito alla ragazza, verificare ogni sua parola, cercare riscontri oggettivi.

Ma Berlusconi è davvero intervenuto per “liberare” Ruby dalla questura: lo mettono nero su bianco i due poliziotti Landolfi e Ferrazzano in una relazione del 28 luglio 2010. Il presidente del Consiglio aveva paura che parlasse? Che raccontasse quello che poi ha cominciato ad accennare a Forno e a Sangermano?

RUBY PARLA. La ragazza racconta di essere stata più volte ad Arcore, a partire dal 14 febbraio 2010, san Valentino. Nega di aver fatto sesso con Berlusconi, ma ammette di aver ricevuto denaro e regali, descrive le feste, il giro di ragazze e uno strano dopocena, che chiama “bunga-bunga”: “Il primo incontro è stato il 14 febbraio, sono stata chiamata da Emilio Fede che mi ha invitata a prepararmi per andare a una cena”, racconta il 3 agosto al pm Sangermano. “Sono stata portata ad Arcore. Dopo la cena, Berlusconi mi ha proposto di scendere presso il bunga-bunga dicendomi che il termine l’ha preso in prestito dal suo amico Gheddafi, e sta a designare una sorta di harem femminile, che si esibisce al piano inferiore della villa... Nel bunga-bunga tutte le ragazze sono completamente nude... Poi il presidente mi condusse nel suo ufficio, lasciandomi intendere che la mia vita sarebbe cambiata se io avessi accettato di partecipare al bunga-bunga insieme alle altre ragazze”. I magistrati restano allibiti. Sanno che fare sesso a pagamento con una minorenne è un reato (prostituzione minorile). Sanno che esercitare pressioni sui funzionari della questura è un reato ancor più grave (concussione). Cercano riscontri. Controllano le “celle” telefoniche di Arcore. Mettono sotto intercettazione una quarantina di utenze. Avviano verifiche bancarie.

I riscontri arrivano. Le “celle” dicono che sì, Ruby è stata in sette occasioni, alcune per più giorni, ad Arcore. Ha davvero ricevuto tanti soldi e tanti regali. Intercettata, la ragazza racconta: “Noemi è la pupilla, ma io sono il suo culo”. E poi: “Il mio caso è quello che spaventa tutti e sta superando il caso della D’Addario e della Letizia. Io ho parlato con Silvio e gli ho detto che ne voglio uscire con qualcosa: 5 milioni”. E ancora: “Lui mi ha chiamato dicendomi: Ruby, ti do quanti soldi vuoi, ti pago, ti metto tutto in oro, ma l’importante è che nascondi tutto. Non dire niente a nessuno”.

ANCHE IL BUNGA-BUNGA trova riscontri. Racconta Maria Makdoum, chiamata ad Arcore nel luglio 2010 a ballare la danza del ventre: “Quando la cena è terminata, il presidente più o meno testualmente disse: E ora facciamo il bunga-bunga... Era un qualcosa di sessuale... Chi avrebbe aderito al bunga-bunga avrebbe potuto poi ‘mangiare’ o ricevere qualcosa in cambio. Scendemmo quindi in una sala non molto grande, una piccola discoteca, in mezzo c’era il palo della lapdance... È cambiata la musica e le due gemelle De Vivo, che erano in pratica in mutande e reggiseno, hanno cominciato a ballare in maniera hard, avvicinandosi al presidente, che le toccava e le ragazze toccavano il presidente nelle parti intime, e si avvicinavano anche a Emilio Fede, che analogamente le toccava il seno, altre parti intime... Anche le altre ragazze dopo, anche insieme, ballavano, facendo vedere il seno o il fondoschiena, si avvicinavano al presidente, che le toccava nelle loro parti intime”.

Conferma pure Melania T.: “Sembra di stare al Bagaglino ma è peggio. Un puttanaio. Con Berlusconi che toccava i culi alle ragazze. Ora se quelle cose le fai in camera da letto, sono affari tuoi, ma così, davanti a tutti! Mi chiedo, il giorno dopo, come faccia a lavorare”.

E Natascia T.: “Mentre noi ballavamo, il presidente ed Emilio Fede erano seduti e guardavano. Alcune delle ragazze che ballavano si avvicinavano al presidente, che le toccava e loro toccavano lui... Alcune delle ragazze che facevano lo spogliarello e che erano poi nude si avvicinavano al presidente, che gli toccava il seno o le parti intime o il sedere. Insomma l’atmosfera era quella di un night club, con ragazze che si spogliavano”.

I SOLDI. Arrivano i riscontri anche sui soldi, sui milioni di euro con cui Berlusconi finanzia la macchina del bunga-bunga. Il fido ragionier Giuseppe Spenelli, l’ufficiale pagatore del presidente, prepara il contante per le buste da consegnare alle ragazze. Ma pensa anche alle auto da regalare (preferibilmente Smart e Mini) e agli affitti da pagare alle più assidue dell’harem, ospiti delle case di via Olgettina.

Le ragazze delle feste sono tante. Trentatrè in un primo elenco, altre dieci in un secondo. Per la procura si sono prostituite “in cambio di denaro o altra utilità”. L’“utilizzatore finale” è Silvio Berlusconi, che il 15 febbraio viene rinviato a giudizio immediato per concussione e prostituzione minorile: per i suoi rapporti con la diciassettenne Ruby.

Sotto accusa anche tre persone ritenute i “fornitori” delle ragazze: Nicole Minetti, Lele Mora, Emilio Fede. A loro è contestato il reato di aver “indotto e favorito l’attività di prostituzione di giovani donne”, maggiorenni, più la minorenne Ruby, che “compiva atti sessuali con Silvio Berlusconi, dietro pagamento di corrispettivo in denaro e altre utilità, presso la residenza in Arcore”.

Le ragazze del bunga-bunga, coordinate secondo i pm da Nicole Minetti, nelle confessioni private al telefono non sembrano proprio amare il “presidente”, che pure in pubblico incensano (e usano come un bankomat). “Un vecchio dal culo flaccido”, per Nicole Minetti. “Ah che zoccolame questa casa, questo condominio diventa sempre più un puttanaio”, commentano Aris e Iris, due ospiti di via Olgettina, il 12 ottobre 2010. E Iris Berardi, che ha iniziato a frequentare Arcore ancor prima di compiere 18 anni: “Sto andando alla festa tesorino, mamma mia è incredibile lo schiffo ke fa il denaro, in questo momento mi sto faccendo schiffo da sola!”, scrive in sms il 26 ottobre 2010. E il giorno di Natale del 2010 ecco come si “messaggiano” Nicole Minetti e Barbara Guerra: “Oltre che per le palle bisogna prenderlo per il caz... Domani se è aperto vado in un sexy shop e prendo un po’ di cose per me e te: più troie siamo, più bene ci vorrà....Troie, troie... Tanto ormai abbiamo la confidenza per fare qualsiasi cosa”. Preoccupate anche per la loro salute. “Hai fatto? Tutto a posto?”, chiede una ragazza. Le risponde un’amica: “A posto, sì. Globuli bianchi a posto, non abbiamo nessun Aids”. “Amò, avevi dubbi, avevi?”. “Mah, sai, quando uno va a letto con 80 donne, non si sa mai nella vita”. Per la difesa, le feste di Arcore erano invece sobrie ed eleganti, Ruby non ha mai fatto sesso con Berlusconi, che comunque la credeva maggiorenne. Ora la parola passa ai giudici.

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