CORSA CONTRO IL TEMPO DELLA MAGGIORANZA PER FAR SALTARE I QUESITI. CHE PER ORA REGGONO
di Chiara Paolin
Il governo ce la sta mettendo tutta. Ma, per ora, i referendum sono vivi e vegeti.
Dopo aver invaso la stampa nazionale al grido di “il quesito sul nucleare ormai non serve più”, il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani ha puntato un nuovo obiettivo: l’acqua. Nella lunga intervista concessa ieri ai microfoni di Radio anch’io, il passaggio - benché liquido - non è passato inosservato: “Anche su questo tema di grande rilevanza probabilmente sarebbe meglio fare un approfondimento legislativo".
GIUSTE DUNQUE le preoccupazioni dell’Idv Massimo Donadi, che da qualche giorno paventava manovre sul quesito anti privatizzazione: “Ancora non è chiaro cosa abbiano in mente - spiega Donadi -, potrebbe trattarsi di un’altra moratoria last minute: dopo il nucleare, l’acqua. Ma noi teniamo duro, puntando soprattutto sulla sentenza 68/1978 della Corte Costituzionale”. Sentenza che, come spiega il costituzionalista Gaetano Azzariti, dice grosso modo così: la modifica legislativa inter-venuta nel corso del procedimento referendario non è in grado di impedire lo svolgimento del referendum qualora l’abrogazione non colpisca i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente oppure i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti.
PIÙ SEMPLICE la spiegazione di Alessandro Pace, docente di diritto costituzionale e curatore dei quesiti per l’Idv: “O il governo cancella in tutto e per tutto il nucleare dal futuro italiano, o noi andiamo avanti”. Tecnicamente la questione si gioca tra una legge e un decreto legge: l’emendamento-blitz del governo interviene abrogando (parzialmente) la legge 99/2009 che delegava il governo a decidere dove costruire le centrali e i siti di stoccaggio, mentre il referendum si concentra sul decreto legge 112/2008, norma precedente e più sistematica nel concepire il rilancio del nucleare. Dunque, secondo i comitati, la consultazione popolare serve a bloccare la norma quadro, mentre l’emendamento governativo interviene su specifici aspetti logistico-gestionali consentendo di sospendere momentaneamente il progetto per ripartire coll’entusiasmo atomico al momento giusto.
MA, ALLA FINE, chi decide se il referendum si farà davvero? L’Ufficio centrale della Cassazione, cui toccherà l’arduo compito di interpretare le reali conseguenze dell’intervento legislativo già approvato al Senato e ancora in attesa di trovare posto nell’affollato calendario della Camera (già prenotatissima per la prossima settimana). “Senza l’ok finale del Parlamento, l’alta corte non potrebbe comunque pronunciarsi - spiega Azzariti -. Oltretutto il referendum, se andasse a buon fine, impedirebbe alle Camere di approvare per i successivi cinque anni una norma contraria alla volontà espressa dai cittadini”.
Un bel rischio, che il ministro Romani esorcizza con litanie costanti: il referendum sull’atomo non s’ha da fare, l’Agenzia per
FORSE
1 commento:
GRANNISSIMI FITUSI!
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