venerdì 13 maggio 2011

GRECIA, L’ITALIA RISCHIA IL CONTAGIO


Fondo monetario e Bce avvertono Ma il governo fa finta di niente

di Superbonus

L’Europa non è pronta a lasciare affondare la Grecia, non ancora, anche se ieri i tasso di interesse sui titoli del debito pubblico a due anni è arrivato al 26,77 per cento. E anche se il Fondo monetario internazionale avverte che c’è il rischio di un’estensione della crisi del debito, un contagio innescato soprattutto dalla Grecia. Mentre per la Bce “l’inflazione è troppo elevata”.

I COSTI di una ristrutturazione del debito o di un’uscita dalla moneta unica sono per il momento troppo alti per essere sostenuti. I Paesi europei troveranno un accordo per prolungare l’agonia di Atene per almeno un altro anno nella speranza che qualcosa succeda, al prezzo di 60 miliardi da erogare entro l’anno alle casse vuote del governo Papandreou. La retorica del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble – “prima di dare altri soldi vogliamo avere la certezza che Atene faccia più sforzi per il risanamento dei conti” – serve solo a tentare di calmare la crescente ostilità dell’opinione pubblica tedesca e non solo verso costosi interventi economici di sostegno.

È lo stesso motivo per cui in Finlandia il Partito populista che ha appena ottenuto uno strabiliante 19 per cento alle ultime elezioni si collocherà all’opposizione del governo se questo accetterà di aiutare il Portogallo (della Grecia ancora non hanno parlato).

Il dramma europeo è tutto qui, nella contraddizione dell’elettorato degli Stati soccorritori che è contro i salvataggi e nell’elettorato dei Paesi soccorsi che si oppone alle misure austerità richieste dai salvataggi.

La storia recente ha dimostrato ai politici di Irlanda, Portogallo, Finlandia e la stessa Germania che se ascolti i tecnici perdi le elezioni, ma se non li ascolti ti esponi a rischi enormi. Gli economisti che hanno strutturato il Fondo europeo per il salvataggio degli Stati (Efsf) si basano sulla erronea convinzione che i governi possano sopravvivere all’adozione di misure altamente impopolari. Ma le cose non stanno andando così lisce. Risultato: nessuno si fida più delle previsioni altrui sugli sviluppi della crisi da debito. Ieri il Fondo monetario internazionale ha dichiarato che “la Grecia non ha la necessità di ristrutturare il debito”, mentre contemporaneamente Barclays scriveva un report per gli investitori dal titolo “Grecia, la (lunga) strada verso la ristrutturazione” indicando in giugno 2012 la possibile data per il collasso definitivo del debito ellenico.

DA QUESTO corto circuito fra politici, tecnici e investitori è difficile uscire: la strada maestra sarebbe quella che al vertice europeo di lunedì la Germania, la Francia e l’Olanda si accollassero il debito dei Paesi più deboli attraverso l’emissione di titoli di Stato europei secondo il principio “un’unica moneta un unico debito”. Ma ovviamente non succederà, significherebbe spazzare via tre governi, irlandese, portoghese e greco. Si continua quindi a parlare di soluzioni improvvisate e abborracciate che non rassicurano nessuno e non fanno che complicare le cose anche per Irlanda, Portogallo Spagna e Italia che, in caso di ristrutturazione del debito greco, sarebbero le prime a essere colpite dall’ondata di diffidenza che già inizia a serpeggiare fra gli investitori che in questi giorni. Che hanno preferito alleggerire le posizioni in euro.

NELLA SURREALE giornata di ieri a complicare le cose ci sono messi anche la Banca centrale europea e il nostro ministro del Welfare Maurizio Sacconi. La prima ha sottolineato i rischi d’inflazione e la necessità di “immediati interventi correttivi sui bilanci pubblici”, mentre sui monitor gli operatori vedevano assottigliarsi la domanda di obbligazioni europee. Il secondo ha risposto alle affermazioni del Fmi circa un possibile espandersi della crisi greca dicendo “sono convinto che siamo al riparo dal contagio" dalla crisi del debito sovrano, "perché abbiamo una robusta disciplina di bilancio insieme con una grande ricchezza nazionale". Un ottimismo che aveva già sfoggiato in mattinata il Sole 24 Ore che ospitando in prima pagina un articolo di Daniel Gros titolato “Perché l’Italia non è il Portogallo”. Distinzioni che non portano molta fortuna, visto che nei mesi scorsi si sono letti un po’ troppi titoli analoghi: “Il Portogallo non è la Grecia” (The Economist 22 aprile 2010), “La Grecia non è l’Irlanda” (ministro delle Finanze greco, 8 novembre 2010), “Né la Spagna né il Portogallo sono l’Irlanda” (segretario generale OCSE 19, novembre 2010). Se lunedì i Paesi più forti non daranno un messaggio univoco, chiaro e un poco altruista ai mercati, presto i governanti si accorgeranno di quanta acqua si può imbarcare in mezzo a una tempesta.

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