giovedì 5 maggio 2011

Il citofono bianco di casa Bin Laden Tanti curiosi e molti dubbi


NEL COMPOUND DEL BLITZ AMERICANO I TESTIMONI: GENTE APPARTATA, MA NORMALE

di Barbara Schiavulli

Abbottabad (Pakistan)

Sul citofono di casa Bin Laden non c’è nessun nome, solo una targhetta lasciata in bianco, un numero scritto in pennarello, a fianco di un cancello verde con un poliziotto davanti che controlla il via vai di residenti, soprattutto giovani, ancora increduli di aver vissuto accanto all’uomo più ricercato al mondo. Un fortino ad appena pochi centinaia di metri da una storica accademia militare, circondato da qualche vicino che ha ville simili, ma non con mura così alte e filo spinato e da case in costruzione come quella di fianco violata da una folla di curiosi. Hanno percorso le scale poco sicure per arrampicarsi sul tetto e guardare dentro il compound di Bin Laden, con un muro interno di protezione e un cortile annerito dal fuoco, dove, dice la gente di Abbottabad, venivano bruciati i rifiuti. Non ci sono grandi segni di combattimento o di macerie, la casa è intatta come lo era quella notte tranquilla dove dal cielo sono arrivate le forze speciali per mettere fine a una caccia all’uomo durata dieci anni. A visitare gli interni mentre continuavano i rilievi della polizia, anche il capo dell’Esercito Pervez Kiyani, mentre al di là del confine, il comandate dei Taliban della zona orientale Dawran Sawi, annunciavano la creazione di un comitato speciale per vendicare la morte di Bin Laden.

MUHAMMAD NIAS non si è ancora ripreso da quella notte e dalla paura. “Non vengono mai elicotteri da queste parti. Mi sono svegliato, poi c’è stato il caos, i miei due bambini erano terrorizzati”. La “via dell’acqua fredda” che separa le due case, ora è gremita di gente, ma fino alla settimana scorsa era solo una normale strada sterrata dove ogni tanto i residenti della casa di Bin Laden entravano e uscivano, qualcuno andava a fare la spesa, arrivava qualche macchinone, si vedeva qualche bambino, ma nessuno nel paese dei Pini poteva immaginare l’inquietante presenza del simbolo del terrorismo.

La maggior parte dei residenti ancora non ci crede. “È stata tutta una messinscena, un drammone degli americani per mettere in difficoltà il Pakistan una volta per tutte. Osama è l’eroe di tutti i musulmani, speriamo che lui sia ancora vivo”, afferma Nias, ma non gli altri, che sebbene credano alla finzione, non sono contenti della cattiva reputazione che si sta facendo la cittadina circondata da montagne verdi. “Ci siamo chiesti come fosse stato possibile per Obama arrivare qui, non può essere una storia vera”, ci dice Muhammad, uomo d’affari in pensione. “Io penso che il problema stia a monte, che quando le persone si sradicano dal proprio paese, quando non c’è giustizia, si creano terroristi”, mormora Sayed Tahershar, un avvocato che discute con il proprietario di una profumeria, “Neanche io riesco a credere a quello che si dice, la nostra cittadina è laica e pacifica, qui si viene in vacanza, non penso che il governo potesse non saperne niente, è pieno di militari”.

Lo scetticismo, l’incredulità, lo sconforto per sentirsi usati, scorre a fiumi tra le vie della città. Ma qualcuno sorride come Shabir Hussein, impiegato dell’ente del turismo. "Qui vengono circa 20 mila visitatori all’anno, un po’ meno ultimamente, ma ora che siamo finiti nelle tv del mondo forse ci sarà gente che verrà a vedere dove viveva Bin Laden, abbiamo già delle prenotazioni”. E qui Bin Laden con i membri della sua famiglia ci viveva almeno da 5 anni. “Ripeto non credo che fossero loro, comunque almeno due uomini li vedevamo al mercato – racconta Nias, un idraulico 30enne – erano tutti molto gentili, parlavano la lingua locale, le donne erano velate e i bambini, dovevano essercene diversi, uscivano ogni tanto ma non frequentavano i nostri figli”.

UNA, L’UNDICENNE in mano delle autorità pakistane doveva essere la figlia di Bin Laden, un altro sarebbe stato portato via dagli americani, gli altri, una dozzina, probabilmente erano i figli dei fratelli dell’emiro del terrore. Ma eliminato Bin Laden, la paura dei pakistani ora corre sul filo delle conseguenze della sua presenza. “Salvateci da Obama”, chiede una donna in tono concitato che con un gruppetto di altre donne manifesta contro gli americani – sono solo una cittadina preoccupata, che sia stato creato un precedente, che ora chiunque possa venire qui e violare la sovranità del nostro Stato”. La donna e le sue compagne pensano all’India, l’eterna rivale, che due giorni fa, saputa la notizia del raid americano ha subito chiesto che venissero trovati i mandati della strage di Mumbai del 2008 le cui tracce portano in Pakistan. Non lontano si accende un’altra manifestazione degli avvocati della città anche loro preoccupati per quel Pakistan violato.

D’altra parte il governo dovrà far buon viso a cattivo gioco se vorrà uscire dall’imbarazzo di essere stato tenuto all’oscuro dell’operazione americana, ma anche dall’ignoranza di avere per anni Bin Laden nella casa di villeggiatura dei pakistani bene a soli cento chilometri dalla capitale, ma soprattutto per mantenere quell’assegno di 1.300 miliardi di dollari che ogni anno gli americani regalano per gli aiuti militari e la lotta al terrorismo.

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