martedì 3 maggio 2011

Il simbolo abbattuto


di EZIO MAURO

PIU' DI TREMILA giorni sono passati dall'11 settembre, dieci anni per inseguire e infine colpire l'uomo che ha organizzato e rivendicato l'attacco al cuore degli Stati Uniti e del sistema occidentale. In tutto questo periodo, tra minacce e attentati era cresciuto il mito dell'imprendibilità di Osama bin Laden, il terrorista numero uno che teneva in scacco il mondo democratico, mentre invece Al Qaeda poteva colpire ovunque, come e quando voleva. Oggi questo mito si spezza, Al Qaeda è decapitata e il suo Capo che annunciava morte all'Occidente è stato ucciso. "Giustizia è fatta", dice Obama agli americani festanti, rivelando il peso di un incubo presente ogni giorno per dieci anni.

Noi europei avremmo preferito che Bin Laden fosse stato catturato e processato, perché l'esecuzione ripugna alla nostra cultura, ma l'America - dove vige la pena di morte - aveva bisogno di colpire chi l'aveva colpita così duramente nella potenza del Pentagono, nel simbolo delle Torri gemelle, nelle vite umane innocenti. Cercare Bin Laden, non dimenticare le sue responsabilità, in questi anni ha significato far valere le ragioni della democrazia occidentale, del rendiconto, della giustizia e del diritto. La vittoria di Obama (che ha voluto condividerla con Bush e Clinton, dando il senso della continuità e dell'unità americana nella lotta al terrorismo) è la miglior risposta a chi - come Trump - gli chiedeva il certificato di nascita sospettandolo di intelligenza con l'islamismo radicale. Eccolo nei fatti il certificato di Obama, che mette a nudo l'ideologismo primitivo della destra americana.

Naturalmente a un anno dal voto il presidente sa che dovrà fronteggiare la reazione terroristica, con Al Qaeda che agisce ormai più come un preambolo politico e simbolico che come un'organizzazione, e dunque legittima e libera forze spontanee capaci di attacchi autonomi. Ma la morte di Bin Laden cade in una primavera araba che cambia radicalmente il quadro rispetto a dieci anni fa. Le piazze, dall'Egitto alla Libia, mentre si ribellano agli autocrati rifiutano anche la soggezione ad Al Qaeda. Potremmo dire che è nato un nuovo soggetto politico che assomiglia alla pubblica opinione, e niente sarà più come prima. In questo senso, Bin Laden muore quando il suo mondo ha cominciato a voltargli le spalle.

(03 maggio 2011)

2 commenti:

Sirio ha detto...

"La morte è ella una pena veramente utile e necessaria per la sicurezza e pel buon ordine della società?
"La tortura e i tormenti sono eglino giusti,e ottengono il fine che si propongono le leggi?" Sono gli interrogativi che due secoli e mezzo fa Cesare Beccaria poneva nella introduzione alla sua opera"Dei delitti e delle pene".L'eminente giurista trovò la riposta ai quesiti,condensandola nei tre principi fondamentali del diritto penale e cioè il principio di legalità,la inderogabilità del processo penale e la umanizzazione
del diritto penale.Partendo da tali pilastri Beccaria ritenne essere impensabile che uno Stato possa utilmente perseguire i delitti se poi è esso stesso a commetterne.Tanto tempo è passato,
ma in certe parti del mondo i governanti ancora informano la loro cultura penalistica al criterio punitivo della pena di morte,quando non anche della tortura come viatico necessario.E non si tratta purtroppo soltanto di usanze tribali,quando a farlo sono anche Paesi che occupano i primi posti nella galassia delle civiltà avanzate.E'il caso per esempio degli Stati Uniti d'America che ancora credono nella pena capitale come l'unico mezzo di lotta al crimine,nonostante che cronaca e storia dimostrino che tale strumento non funge da deterrente.
Un grande Paese non può tenere un criminale in agonia per anni nel braccio della morte prima di giustiziarlo,e meno che mai può consentire che si pratichi la tortura.Ma oggi l'attenzione del mondo è rivolta alla cattura ed all'uccisione di Bin Laden che sembra essere avvenuta con rito sommario.Il bliz potrebbe essere stato favorito dal tradimento di uno degli uomini più vicini allo sceicco,ma vi è anche il sospetto che il rifugio di Bin Laden sia stato localizzato nelle mura di Guantanamo,purtroppo noto per le barbarie che vi si praticano.In ogni caso Obama, e con lui l'America, dovrebbero opporre le loro ragioni a quanti ritengono che l'esito di quel bliz possa aver determinato violazione delle norme di diritto internazionale in base alle quali i crimini contro l'umanità devono dar luogo ad approfonditi processi da celebrare dinanzi ad un Tribunale speciale.
Ma l'America non poteva permetterselo se non al prezzo altissimo che fosse conclamata la propria antica vicinanza a Bin Laden usato contro la Russia.E quindi la soluzione sommaria può valere la vendetta per l'attentato alle torri gemelle,ha sicuramente rilanciato le azioni di Obama,al ribasso negli ultimi tempi,ma non potrà evitare che Bin Laden risulti scomodo anche da morto. L'iniezione letale,o la sedia elettrica,ed anche Guantanamo riguardano la struttura statuale degli States,altra cosa sono le le proiezioni internazionali che non possono essere trattate in modo personalistico,quasi che la Casa Bianca fosse caput mundi.
E'emblenatico del comportamento usuale il caso Calipari,rimasto avvolto nel mistero,e ad un Paese amico,il nostro,è stato negato il diritto di indagare secondo le proprie leggi.Un grande Paese come l'America non può arroccarsi su se stesso e trattare come affari interni quelli che invece sono eventi che toccano la sovranità di altri Stati,alleati o non.
Bin Laden è stato un criminale al pari di Saddam Hussein e come ora Gheddafi,ma sempre secondo l'illuminato insegnamento di Beccaria non possono esserci leggi che neghino la libertà quando permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Commento molto interessante, solo in parte condivisibile. Infatti, si può agevolmente obbiettare che almeno 3.000 persone sono state uccise nelle Torri Gemelle senza alcun rito sommario. Bin Laden se l’aspettava, per questo motivo si può parlare di processo sommario. Tutte le vittime degli attentati compiuti nel mondo in nome di un radicalismo, meglio integralismo religioso, no. Vale la pena di osservare che in Italia fu abolita dal codice Zanardelli nel 1889, reintrodotta dal regime fascista col codice Rocco, tuttora vigente e definitivamente abolita con la Costituzione repubblicana del 1948, tranne i casi previsti dalla leggi di guerra.
È vero, gli U.S.A. sono una delle due nazioni liberali e democratiche, l’altra è il Giappone, in cui ancora vige la pena di morte, che è una pena federale applicata l’ultima volta nel 2001. Si trattava di Timothy James McVeigh, responsabile dell’attentato terroristico di Oklahoma City, in cui morirono 168 persone (di cui 19 bambini) e altre 800 restano ferite, compiuto per ritorsione dei fatti di Waco.
In questo caso il mandante dell’attacco alle torri gemelle era fin troppo ben noto, quindi io parlerei di rito sommario ma di una decisione politica ineludibile e irrinunciabile.
Quanto a Guantanamo Obama aveva intenzione di abolirla ma non v’è riuscito. Gli U.S.A. sono una nazione in cui addirittura di recente un deputato repubblicano voleva presentare una legge per la legalizzazione delle tortura. Luci e ombre, eccessi e generosità, così sembra essere fatta la nazione americana.
Cesare Beccaria, leggo in internet, che uno Stato per punire un delitto ne commetteva a sua volta un altro: « Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio.». Ma la sua opinione, innovativa per la sua portata, non era intesa in termini assoluti: « La morte di un cittadino non può credersi necessaria, che per due motivi. Il primo, quando anche privo di libertà egli abbia ancora tali relazioni e tal potenza, che interessi la sicurezza della nazione; quando la sua esistenza possa produrre una rivoluzione pericolosa nella forma di governo stabilita. La morte di un cittadino divien dunque necessaria quando la nazione ricupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell’anarchia, quando i disordini stessi tengon luogo di leggi. »