lunedì 9 maggio 2011

La Clinton dopo la Lega


FURIO COLOMBO

Hillary Clinton è partita al buio, carica di emozioni per l’evento pachistano, carica di incertezze per l’evento italiano. Il problema dell’evento italiano, per il segretario di Stato americano, è che solo in apparenza è più facile da capire, chiarire, organizzare, e raccontare. C’è meno dramma, ma la Clinton ha capito subito che c’era qualcosa di inspiegabile, come in religioni e tradizioni sconosciute.

Di che cosa aveva discusso, per un giorno intero, con scontri da fine del mondo, il Parlamento italiano, dividendosi non solo fra maggioranza e opposizione, ma anche all’interno di ciascuna parte e con discreta ferocia? Il fatto interessa la Clinton, perché dovrà pure fare un rapporto che un giorno Wikileaks diffonderà nel mondo. Sa benissimo, da statista stagionata, che negli incontri internazionali si parla con una lingua convenzionale e in gran parte falsa e che, tipicamente, agli americani si dice, sul momento e ogni volta, ciò che gli americani vogliono sentirsi dire, perché poi gli americani ripagano con la stessa moneta affermando, in ciascun Paese, di essere accanto al miglior amico degli Stati Uniti. Il problema però, è capire ciò che è accaduto davvero in Italia e che era cominciato con la strana e non comprensibile richiesta di guerra a termine, un fatto inedito in ogni circostanza della storia. La traduzione non aiuta. Traduzione vuol dire tener conto sia del testo linguistico (i discorsi fatti, ma anche le cose dette o urlate prima di quei discorsi) che della cultura che sorregge e spiega il testo, tutte cose che aiutano a orientarsi sul giusto senso dei discorsi politici o comunque pubblici in altre culture.

Il team del Dipartimento di Stato ha avuto una prima, seria difficoltà a capire, e dunque a spiegare al loro capo in visita, perché le varie parti politiche italiane erano entrate feroci e decise a tutto nella Camera dei deputati la mattina del 4 maggio, ciascuna decisa a un confronto risolutivo che avrebbe cambiato la politica italiana, e dunque la politica delle Alleanze e degli impegni internazionali, perché ne erano uscite rasserenate, e ciascuna cantando vittoria, con una serie di mozioni quasi identiche e, per giunta, quasi tutte approvate con voti incrociati o astensioni reciproche. Ma un ostacolo linguistico (o che, almeno a prima vista, è sembrato linguistico) ha rallentato di molto il lavoro degli assistenti e consiglieri di Hillary Clinton. E infatti è stato suggerito alla segretario di Stato di fare un lungo giro di shopping per Roma, molto esposta e molto visibile, proprio nei giorni seguenti il drammatico evento pachistano, protetta però da elicotteri che hanno occupato per ore il cielo e la testa dei romani, pur di avere il tempo per risolvere il puzzle. Dal punto di vista di un grande evento internazionale in cui bisogna sapere e riferire con certezza al proprio Paese e al mondo se l’Italia resterà al proprio posto nella coalizione, che cosa vorrà dire una lunga discussione tutta uguale alla Camera dei deputati, in cui ciascuna parte si tira addosso gli stessi argomenti, che si conclude senza comprensibili risultati politici, ma viene celebrata con la frase we have it hard.

La frase di per sé è insensata, nel contesto politico, ma è detta e ripetuta da uno dei principali statisti italiani del momento, il ministro delle Riforme Umberto Bossi, che Hillary Clinton non ha mai avuto l’occasione di conoscere e della cui attività non ha la minima idea, come quasi tutti i non italiani condannati a saperlo dai Tg locali. Quella frase misteriosa ha un senso rispetto alla Libia? Certo che i traduttori sia dell’Ambasciata che del Dipartimento di Stato hanno offerto la traduzione da vocabolario. Con un po’ di imbarazzo le hanno detto: “Signora, vuol dire, noi ce l’abbiamo duro”. “No, non ha riferimenti con la storia. No, non è mai stato il vanto di un guerriero. No, neppure in Italia è una frase del gergo politico. Piuttosto è un colloquialismo tra uomini che si vantano…”. Che tipo di uomini? Ha voluto sapere la Clinton. “Bè, signora, diciamo gente che ha alzato un po’ il gomito alla festa del bestiame e profitta del fatto che le mogli non sentono”.

La signora Clinton ne ha viste tante nel mondo e non si fida. Ha dato ai suoi 24 ore per scoprire il senso di quella frase, evidentemente in codice. Ritiro dalla Libia? Azione camuffata da folclore per dare più tempo a Gheddafi? Si tratta di avversari sotto copertura degli Stati Uniti o di pacifisti decisi a tutto pur di interrompere l’azione della Nato? Ma l’Italia non era una stravagante (quello che fa le corna nei summit internazionali) ma affidabile amica dell’America? Avrete notato che, quando l’evento politico vero e proprio è cominciato la Clinton non si è mai fatta trovare vicino a Frattini. Forse in privato, perché è una donna persistente e preoccupata anche dei dettagli insignificanti nella politica del mondo (Bossi, la Lega).

E ci risulta che ha provato (invano) ad ottenere la vera traduzione della frase criptata del leader di un partito di governo italiano. Nel tempo libero, la Clinton ha anche tentato di farsi spiegare come mai l’opposizione italiana non si fosse impegnata, almeno come un favore a lei, a contestare, condannare, ridicolizzare e dunque cancellare quella frase apparentemente prova di senso. “E perché quelli che fanno opposizione sono uguali agli altri in Italia?”, ha continuato a chiedere invano ai suoi spaesati consiglieri la Clinton, sempre tentando di venire a capo di un puzzle che neanche gli italiani del più alto livello istituzionale hanno risolto: che cosa è, che cosa deve essere l’opposizione in questo magnifico Paese mediterraneo?

In conclusione, Hillary Clinton è stata attenta a non stare mai vicina al ministro degli Esteri italiano Frattini, per non comparire in una situazione imbarazzante sui giornali americani. Infatti l’uomo, se è, come è, schierato dalla stessa parte del misterioso gruppo We have it hard può all’improvviso giocare qualche spiacevole scherzo internazionale. La Clinton ha visto giusto. Ancora non aveva lasciato Roma che già gli sms d’agenzia dei telefonini italiani registravano: Frattini: “La missione in Libia finirà in quattro settimane”.

Qualcuno dice: “In quattro giorni”. Dovremo aspettare (non tanto) fino ai prossimi Wikileaks per sapere il giudizio americano su questo viaggio, ma una cosa è certa: nessun Paese che affronta alla Camera un dibattito inutile per rispondere alla sfida inutile di un partito estraneo a ogni politica estera, eletto e impegnato solo nella politica comunale (ma Berlusconi, a cui servono i voti, finge che si tratti di un partito europeo) su una questione che non viene mai posta e a cui non viene data mai una risposta (salvo l’Italia dei Valori, che però partecipava a un suo solitario e diverso dibattito sulla pace e la guerra) e dove tutti orgogliosamente si dichiarano vincitori, non può avere rispetto e ascolto e reputazione internazionale. Al massimo, e in piena coerenza con il nostro recente passato, avranno chiesto a questa disastrata Repubblica, di farsi carico di Gheddafi esule, ospitalità in tenda inclusa.

Il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2011

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