di Marco Travaglio
Aprile andiamo, è tempo di precisare.
Precisa venerdì Palazzo Chigi: “In merito a quanto riportano erroneamente alcune agenzie di stampa, il Presidente Silvio Berlusconi si è ben guardato dall'esprimere un pronostico sullo scudetto al Milan anche per evidenti ragioni scaramantiche”. Ecco, che si sappia: si è ben guardato.
Precisa lunedì il Quirinale: “In questi giorni sono stati attribuiti al Presidente della Repubblica in modo del tutto arbitrario interventi relativi alle mozioni sulla Libia...”. Sono stati, ma da chi? Mistero. “... È stata pubblicata la notizia - semplicemente inventata - di una telefonata intercorsa in proposito tra il Presidente e il Segretario del Pd”. Pubblicata e inventata da chi? Mistero. “...Facendo riferimento alla telefonata che non c'è stata, il vice direttore de Il Fatto Quotidiano ha imbastito una polemica dai toni provocatori nei confronti del Capo dello Stato al di là delle posizioni da lui assunte nelle sedi appropriate...”.
Oh, finalmente il nome di un colpevole: a imbastire la polemica è stato il vicedirettore del Fatto, per giunta usando “toni provocatori” e, non bastasse, senza l’autorizzazione preventiva dell’ufficio stampa del Quirinale.
“Napolitano striglia Travaglio: inventata la telefonata al Pd”, titola Libero che, come sempre, ha capito tutto: il colpevole è quel putribondo figuro del vicedirettore del Fatto.
“L'ira di Napolitano tirato per la giacca da Travaglio & Co”, rilancia Il Giornale, sempre sulla notizia.
Spettacolare il pezzo di Repubblica: “Una risentita nota del Colle smentisce telefonate con Bersani... Poche righe molto secche... Si era parlato di un intervento su Bersani...”. Si era parlato da parte di chi? Ma di Repubblica, naturalmente, che sabato scorso rivelava: “La telefonata forse più difficile da quando è segretario del Pd, Pier Luigi Bersani l'ha avuta con Napolitano che sulla Libia ha chiesto alle forze politiche ‘senso di responsabilità’...”. Cioè nessun nuovo voto sulla guerra in Libia, anche se nel frattempo la posizione del governo italiano è passata dal “non bombarderemo mai” al “bombardiamo eccome”.
È la telefonata che – apprendiamo lunedì – non c'è mai stata. E meno male che il Fatto l'ha citata riprendendola da Repubblica, altrimenti il Presidente non l'avrebbe mai smentita (lui, si sa, legge sempre e solo il Fatto) e tutti sarebbero rimasti convinti che c'era stata. Per sempre. A cominciare dai vertici del Pd, che avevano una gran voglia di votare una mozione contro i bombardamenti, ma sapevano di non poterlo fare proprio a causa di quella telefonata che davano tutti per vera. Tant'è che alcuni la usavano per sostenere il no alla mozione anti-guerra (Rosi Bindi: “Non possiamo lasciare solo Napolitano”; Luigi Zanda: “Noi siamo napoletaniani”) e altri proponevano addirittura di ignorarla (“Franceschini: “Una cosa sono le preoccupazioni del capo dello Stato, un'altra la nostra iniziativa politica per mettere in difficoltà il governo”).
Un caso di autosuggestione collettiva che bastava poco a stroncare sul nascere: era sufficiente che sabato pomeriggio il Quirinale dettasse due righe di smentita a Repubblica, o che lo facesse Bersani. Invece, inspiegabilmente, nulla di tutto ciò. Forse al Quirinale Repubblica non arriva. O forse Bersani, avendo letto su Repubblica che Napolitano l'aveva chiamato, si era convinto che la telefonata fosse davvero avvenuta. O magari, visto che non gli telefona mai nessuno, l'aveva lasciata credere per fare bella figura.
Sia come sia, per due giorni l'equivoco ha dilagato dall'Alpi al Lilibeo, impedendo al Pd di alzare le barricate contro la guerra. Chissà che avrebbero combinato i leader pidini alla Camera se avessero saputo che Napolitano non aveva chiesto nulla a Bersani, anzi non gli aveva proprio telefonato perchè lui, nell’ordine: adora essere “lasciato solo”, con buona pace della Bindi; non ha “preoccupazioni”, con buona pace di Franceschini; e, con buona pace di Zanda, non vuol vedere “napoletaniani” nel raggio di migliaia di chilometri, sennò s'incazza di brutto.
A saperlo prima, il Pd avrebbe persino potuto, con rispetto parlando, “mettere in difficoltà il governo”.
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