mercoledì 4 maggio 2011

Il blitz minuto per minuto negli occhi di Barack & C.


Guardate bene quella foto e imprimetela nella memoria. Barack Obama ha il volto scuro, «di pietra» come ci dice uno dei suoi collaboratori; il presidente appare quasi rimpicciolito, schiacciato dal peso di una responsabilità immane. Il segretario di Stato Hillary Clinton tormenta il viso con una mano, quasi a nascondere una materna smorfia d'angoscia. Dicono che il vice-presidente, Joe Biden, si sia passato per tutto il pomeriggio i grani di un rosario tra le dita.
Guardatela, perché essa rovescia tutte regole dell'informazione moderna, avida divoratrice d'immagini che sole possono sostanziare i fatti e che qui invece scorrono su uno schermo che non vediamo. Eppure, nell'offrirci in modo anche impietoso la spasmodica tensione nervosa di quelle ore, questa fotografia diventa documento inconfutabile di prova. Non abbiamo ancora visto le immagini di Bin Laden morto, né quelle del suo rispettoso funerale marino. Non abbiamo visto, difficilmente vedremo le immagini dei Navy Seals in azione. Ma nessuno di noi, a parte i soliti maniaci delle teorie cospirative, nutre il minimo dubbio sulla verità sostanziale di quanto è accaduto il 1° maggio nel compound di Abbottabad: dopo una caccia durata quasi dieci anni, il leader spirituale e politico di Al Qaeda, lo sceicco nero mandante delle stragi dell'11 Settembre, è stato ucciso in una missione speciale ordinata dalla Casa Bianca.

Ed è geniale la strategia comunicativa di un'Amministrazione, che naturalmente può confidare sull'alta credibilità e la decenza di Barack Obama, ma risolve l'onere della prova con una fotografia dove protagonista non è il fatto, ma l'ansia per il fatto stampata negli occhi e nei gesti e resa tangibile dall'aria stravolta dei soggetti.
Torniamo a osservare la foto. In piedi subito dietro Obama, hanno la faccia paralizzata tre duri, veterani di ogni battaglia militare o politica: da sinistra a destra, sono il capo di Stato maggiore, l'ammiraglio Mike Mullen, quello che considera il debito pubblico americano una minaccia più grave di qualsiasi terrorismo; poi il consigliere per la Sicurezza nazionale, Tom Donilon, uno che stava alla Casa Bianca già ai tempi del Kosovo; infine il capo dello staff, Bill Daley, ministro con Bill Clinton, erede della dinastia che ha governato Chicago per mezzo secolo. Dietro a quest'ultimo, appare preoccupato mentre sbircia per vedere meglio Tony Blinken, il consigliere strategico di Biden. L'altra donna della foto ha il volto rabbuiato di Audrey Tomason, direttrice dell'Antiterrorismo.
John Brennan, braccio destro del Presidente sulla sicurezza interna e il terrorismo, il falco voluto da Obama al suo fianco, guarda accigliato l'azione. Accanto a Hillary, appare più pallido del solito
Denis McDonough, vice di Donilon, ma molto ascoltato da Obama. Al centro, il generale Brad Webb, vice-comandante delle operazioni speciali, è intento a consultare un computer. Solo il ministro della Difesa uscente, Robert Gates, ha la sua solita, immutabile espressione da Sfinge: ma lui, si sa, i ragazzi della West Wing con ironia e ammirazione lo chiamano Joda, come il saggio di Star Wars.
E' stato Brennan a descrivere l'atmosfera di domenica pomeriggio, che la foto restituisce pienamente: «E' stato probabilmente uno dei momenti di maggiore ansia nella vita di tutti noi che stavamo là dentro. I minuti sembravano giorni e il presidente era molto preoccupato per la sicurezza dei nostri uomini impegnati nell'operazione».


C'era un silenzio tombale, interrotto soltanto dalla voce di Leon Panetta, il capo della Cia, che in diretta da Langley raccontava e commentava l'azione: «La tensione era palpabile, molti di noi trattenevano il respiro, nessuno osava dir parola mentre ricevevamo gli aggiornamenti».
Non c'era stata unanimità nella squadra di Obama, se eseguire immediatamente il piano proposto dall'Ammiraglio
William McRaven, capo delle missioni coperte. Tutto indicava che Bin Laden fosse proprio lì, nel «nascondiglio a vista» più improbabile possibile per un terrorista super-ricercato come lui. Ma la certezza corazzata non c'era. E più volte in passato lo sceicco si era rivelato preda elusiva e scaltra.
Soltanto venerdì il presidente aveva dato il segnale verde, dopo aver chiesto un'ultima pausa di riflessione, raccomandando di farlo il prima possibile. Significava sabato, ma i meteorologi della Cia avevano previsto cielo nuvoloso. Così è successo domenica. La Casa Bianca ha cancellato le visite guidate, per evitare che qualche visitatore fosse insospettito dall'incontro casuale con uno dei volti noti dell'Amministrazione. Obama ha rispettato la sua agenda domenicale e di buon mattino è andato a farsi nove buche sul green della base di Andrews, regolarmente registrato dai media. Poi, dopo mezzogiorno, la Situation Room ha cominciato a riempirsi alla spicciolata. Uno dei ragazzi dello staff è corso da CostCo, in Virginia, dall'altra parte del Potomac, per comprare rotoli di pita col tacchino, gamberoni lessi freddi, patatine, bevande gassate. Alle 14.00, una volta che anche il Presidente era arrivato nel bunker, Panetta ha spiegato tutti i dettagli dell'attacco, che è cominciato meno di un'ora dopo.


«Hanno raggiunto l'obiettivo», ha detto il capo della Cia quando i Seals sono entrati nell'edificio. E pochi minuti dopo, quando Bin Laden è stato individuato e preso di mira: «Abbiamo la visuale su Geronimo», il nome dato allo sceicco dalla missione. Quindi la frase attesa: «Geronimo EKIA», che sta per Enemy Killed In Action, nemico ucciso in azione. Nessuno ha fiatato. E' stato il presidente a interrompere quel silenzio irreale: «Lo abbiamo preso».
«C'è stato un grande senso di sollievo», ha detto Brennan. Eppure non era ancora finita. Qualcosa poteva ancora succedere ed è successa. Uno degli elicotteri che avevano trasportato i Seals non è più riuscito a decollare: «Per me e per gli altri nella stanza, è stato uno dei momenti più drammatici, sapevamo di dover ricorrere al piano di emergenza». La foto, ci dicono fonti della Casa Bianca, è stata scattata all'incirca in quella fase. Quando il secondo elicottero è arrivato a raccogliere gli uomini ancora sul campo, la tensione si è sciolta. «E il presidente è apparso finalmente sollevato che nessuno dei nostri e nessuno di quelli
che non volevamo uccidere fosse stato colpito».

Paolo Valentino
04 maggio 2011

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