martedì 14 giugno 2011

Al referendum trionfano i sì Un sondaggio gela Berlusconi

UGO MAGRI

L’Italia sbatte la porta alle tecnologie rischiose, intima «giù le mani» dai beni pubblici, grida «mai più» alle leggi «ad personam». Un decreto a firma presidenziale dichiarerà, tempo qualche giorno, che tutte le norme sottoposte al referendum sono state giustiziate dalla rabbia popolare. La «Gazzetta ufficiale» pubblicherà un necrologio senza lacrime. Nel frattempo la Suprema corte avrà accertato l’esito che già sappiamo: il 57 per cento degli elettori si sono recati alle urne, ben il 95 ha votato «sì».

Tromba d’aria
E’ la seconda, in un mese, che si abbatte sulla politica. Il vuoto d’aria risucchia Berlusconi, che non più tardi di giovedì s’era lasciato andare in tono bisbetico, quasi incapricciato: «C’è pure il diritto di non votare...». Ora il premier finge disinvoltura. Su consiglio di Letta e Bonaiuti proclama: «La volontà di partecipazione non può essere ignorata, governo e Parlamento hanno ora il dovere di accogliere pienamente il responso dei referendum» che pure «non è lo strumento più idoneo per affrontare questioni complesse...». Già, perché al Cavaliere è riuscito il miracolo involontario di resuscitare Lazzaro, l’istituto referendario morto e sepolto dal 1995. Si sta cucendo addosso l’abito del perdente. Dicono i sondaggi (compresi quelli che Silvio legge con più attenzione): se si votasse domani la sinistra sfonderebbe e il Pd sarebbe il primo partito. Guarda che combinazione, Bersani cavalca il referendum che altri (Grillo, Di Pietro) hanno innescato, chiede elezioni subito quale effetto del «divorzio tra governo e Paese». Sempre se si votasse domani, sarebbe ineluttabilmente lui il candidato premier, senza nemmeno bisogno delle primarie.

I vincitori
Grillo sostiene: è un trionfo di tutti noi, «i cittadini hanno mandato affan... i partiti». Idem Di Pietro. L’ex pm ci vede una scelta corale né di sinistra né di destra perché «sono andati a votare sì anche molti del Pdl». E in effetti, secondo una rilevazione Emg per «La 7», ha contribuito all’esito quasi la metà degli elettori berlusconiani. Per Veltroni stavolta «vince la società civile», secondo Vendola si fa largo «l’Italia dei beni comuni». Emergono gli umori profondi, la «pancia» del Paese, grandi questioni su cui riflettere. Dunque s’inalbera Di Pietro quando il Pd (Bersani, ma pure Franceschini, D’Alema, la stessa Bindi) «strumentalizza i risultati referendari». Qui c’è un ciclone che spazza via tutto, altro che intestarsi il fenomeno. «Non chiederemo le dimissioni del Cavaliere», insiste polemico Tonino, il quale lancia se stesso «come alternativa al premier». Ormai tutti trattano Berlusconi come un pugile suonato, se lo litigano per farci a cazzotti. Un vecchio combattente di sinistra come Angius arriva a canticchiare «menomale che Silvio c’è», con lui sul ring la vittoria dei nipotini di Stalin sarebbe certissima. Anche per questo i terzopolisti uniti (dichiarazione a firma Fini-Casini-Rutelli) mandano messaggi a Pdl e Lega, il referendum «è un no grande come una casa a questo governo», prima quello lo levate di lì e meglio sarà per tutti. Anziché votare subito, Rutelli vedrebbe bene un governo-cuscinetto, una fase di decantazione. Casini invece non si fa illusioni: «Conoscendo Berlusconi, tutto farà tranne che un passo indietro».

I vinti
Alcuni come Scajola ammettono «il segnale di forte disagio verso il governo», altri ancora (Cicchitto e il quasi-segretario Pdl Alfano) applaudono Di Pietro che manda a farsi un giro Bersani, altri ancora si domandano se ora Napolitano controfirmerà la «prescrizione breve» sotto esame al Senato. Tutti tengono d’occhi la Lega che domenica celebra Pontida. Brutti presagi per il premier. Calderoli: «Gli indicheremo cosa portare in Aula per la verifica il 22 giugno... Prendere sberle sta diventando un’abitudine». Pare però che Silvio voglia ricominciare la campagna acquisti, per rimpolpare le fila dei Responsabili, e della Lega dica spavaldo: «Tanto quelli non vanno da nessuna parte...».

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