martedì 14 giugno 2011

IL PAESE HA GIÀ BOCCIATO IL PREMIER MA I PARTITI NON LO CACCIANO

Per adesso nessuno pensa a chiedere la sfiducia

di Eduardo Di Blasi

Le sberle, per adesso, gliele hanno date gli elettori. Gli eletti, si direbbe, sono un po’ più lenti, alle prese con meccanismi che paiono sempre più complicati. “Per il bene del Paese”, indica la strada il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, ci sono “crisi, Quirinale, verifica rapida sulla possibilità di riformare la legge elettorale, e senno’ si va a votare”. Un percorso lineare, che però non è chiaro come debba innescarsi.

GIÀ, PERCHÉ la verifica chiesta dalla Presidenza della Repubblica dopo l’ultimo rimpasto che ha fornito poltrone di governo – eravamo a inizio maggio – ai vari Misiti, Rosso, Bellotti, Polidori, Cesario, Gentile, Villari, Catone e Melchiorre (che poi dopo qualche giorno si dimise), sarà di scena alla Camera il 22 di giugno, ma per adesso non prevede nessun voto di fiducia. Non lo ha posto il governo (che di norma, in queste comunicazioni di “politica generale” porta alle Camere almeno un ordine del giorno ponendo poi su questo, eventualmente , la fiducia). Non ha per adesso intenzione di porla il Pd. E nemmeno l’Idv che ieri con Antonio Di Pietro, ha messo le mani avanti: “L’Idv in tempi non sospetti ha chiesto le dimissioni di Berlusconi - spiega - Farlo ora in nome dei risultati referendari è una strumentalizzazione. Sono andati a votare sì anche molti elettori del centro-destra. Per rispetto nei loro confronti non possiamo chiedere le dimissioni del governo solo in nome dei referendum”. E l’Udc è sulla stessa linea “impossibilista”.

OGGI ANCHE il Senato metterà in calendario la verifica sulla nuova composizione del governo: il presidente del gruppo Pdl Maurizio Gasparri ha anticipato che la discussione potrebbe essere fissata il 21, un giorno prima che a Montecitorio. Anche qui, “per adesso”, non si prevedono richieste di voto. Per adesso, nel senso che tutte le forze politiche, in verità , aspettano il raduno leghista di Pontida per capire se la Lega è determinata a rimanere nel governo e a quali condizioni.

L’ALTRA IPOTESI, ventilata sull’euforia del convincente dato elettorale, è che, come fece il Oscar Luigi Scalfaro dopo i referendum del ‘93, il Presidente della Repubblica possa mandare alle Camere un premier dimissionario. All’epoca fu Giuliano Amato a dover lasciare il passo ad un governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi, ma la situazione politica era alquanto diversa. Ci trovavamo davanti ad un parlamento eletto pre-tangentopoli e nella consultazione referendaria c’erano tra gli altri due quesiti che riguardavano le modalità di elezione del Senato e il finanziamento pubblico dei partiti. Amato andò alle Camere e, corsi e ricorsi storici, si trovò contro il voto della Lega che con i giovani Bossi, Maroni e Speroni decise di staccare la spina. Per la cronaca all’epoca Bossi avrebbe preferito un governo “a tempo” presieduto dal vincitore dei referendum Mario Segni.

Diverso il caso odierno, nel senso che per adesso il premier è riuscito a salvare la pelle in tutti i voti di fiducia. Certo il percorso delle ultime settimane è apparso abbastanza accidentato, con le assenze leghiste che hanno congelato il ddl anti-corruzione del governo già impallinato al Senato, gli agguati che hanno messo in minoranza l’esecutivo in aula e in commissione a Montecitorio e i malumori dei Lib-dem Daniela Melchiorre e Italo Tanoni. Ma se la Lega non collabora, questo il refrain, manca (come sempre) lo spazio politico per iniziative del genere.

E così la situazione si può fotografare in due frasi. La prima arriva dai vescovi della Cei che attraverso il Sir (il Servizio Informazione Religiosa che dà “la linea” alle iniziative editoriali cattoliche), affermano: “Il quorum superato di slancio va ben al di là del merito dei quesiti: rappresenta un messaggio diretto degli elettori, al di là degli schieramenti, direttamente al governo”. E Pier Ferdinando Casini dell’Udc che testimonia: “Conoscendo Berlusconi credo che pensi a tutto salvo che a fare un passo indietro anche alle prossime elezioni”. Insomma alla volontà politica sembra continuare a mancare la forza.


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