sabato 11 giugno 2011

'Non ci sono centrali sicure'

di Antonio Carlucci

Nessun impianto è garantito. Neanche quelli di nuova generazione. Bisognerebbe rendere più severi gli standard di sicurezza, ma i costi supererebbero i vantaggi ottenuti dalla produzione di energia. Parla il massimo esperto Usa. Colloquio con Edwin Lyman

(17 marzo 2011)

Non è bastato il comunicato di domenica 13 marzo della Nuclear Regulatory Commission per rassicurare che "le rigorose norme di sicurezza assicurano che le centrali nucleari americane sono progettate per fronteggiare tsunami, terremoti e altri disastri naturali". Neanche 24 ore più tardi, lunedì 14, Gregory Jaczko, il numero uno della Nrc, l'ente che si occupa della sicurezza e del controllo delle centrali atomiche sul suolo americano, si è presentato nella sala stampa della Casa Bianca e ha affrontato un fuoco di fila di domande su quanto sta accadendo in Giappone, ma soprattutto sulla situazione degli impianti americani alcuni dei quali sono in funzione nella sismica California.

La paura dell'olocausto nucleare, dell'incidente che ripete in modo esponenziale quanto abbiamo già visto nel 1986 a Cernobyl e oggi si rischia in Giappone, non è mai sopita. Negli Stati Uniti esistono 104 impianti che forniscono il 20 per cento dell'energia consumata dalle famiglie e dalle industrie americane: 30 di queste centrali sono identiche a quella esplosa a Fukushima. Nel 1979 il terrore del meltdown fu vissuto a Three Mile Island, in Pennsylvania, per una fuga radioattiva dovuta al surriscaldamento del nocciolo del reattore. Da quel giorno la costruzione di una dozzina di centrali è stata bloccata dalle comunità locali in nome della politica del "Not in my backyard", non nel mio cortile. Ma per diminuire la dipendenza dal petrolio, insieme a progetti per l'eolico, il solare e il gas, Barack Obama ha dato via libera alla costruzione di nuove centrali nucleari e ha messo sul tavolo 54 miliardi di dollari in prestiti federali.

Il dibattito tra gli scienziati americani gira tutto intorno al problema della sicurezza e alle regole che vengono stabilite a livello federale e che devono essere applicate dalle società private che hanno la licenza di costruire e di gestire un impianto nucleare. "l'Espresso" ne ha parlato con il fisico nucleare Edwin Lyman, per molti anni presidente del Nuclear Control Institute e oggi membro del Global Security Program della Union of Concerned Scientist, una associazione che è a favore della scelta nucleare ma mette al primo posto la ricerca della sicurezza totale.

Che ammonimento arriva dalla debolezza degli impianti giapponesi di fronte al terremoto e allo tsunami?
"Gli avvenimenti hanno messo a nudo la vulnerabilità del modo di affrontare la questione delle norme di sicurezza delle centrali nucleari non solo in Giappone, ma anche negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Quanto sta avvenendo a Fukushima ci obbliga a prendere molto più seriamente il processo di formazione delle norme di sicurezza. Ci vuole ancora più attenzione nella previsione di gravi incidenti e, quindi, ulteriori sistemi di prevenzione da parte della Nuclear Regulatory Commission".

Nel concreto a che cosa pensano gli scienziati preoccupati?
"Bisogna rivedere l'intero processo di valutazione dei rischi per stabilire che cosa è essenziale per aumentare la sicurezza degli impianti. Oggi siamo obbligati a chiederci se abbiamo fatto abbastanza, per esempio se abbiamo valutato correttamente i pericoli sismici. Non possiamo non rivedere il modo in cui abbiamo pensato alle regole che riguardano le strutture di contenimento per verificarne l'adeguatezza. Così come va rivisto l'intero complesso delle misure di reazione davanti a incidenti come quello giapponese. Infine, dobbiamo verificare sin da oggi il complesso delle norme di sicurezza delle centrali di nuova generazione e capire se esse siano davvero meno pericolose rispetto a quelle in funzione oggi".

Insomma, non bisogna mai dare per acquisito il livello di sicurezza raggiunto.
"Se gli standard delle norme aumentano di livello, bisogna subito andare a ricontrollare tutti gli impianti esistenti per adeguarli alle nuove regole. E il costo che naturalmente ne deriva va soppesato per valutare se il valore degli interventi ha ragione di essere rispetto ai vantaggi che otteniamo dalla produzione di energia con quegli impianti".

E' vero che le centrali di nuova generazione sono intrinsecamente più sicure?
"A dire il vero, no. Ritengo che davvero pochi nuovi progetti abbiano aumentato la sicurezza rispetto agli impianti attualmente in funzione. Una eccezione è quella dell'Areva Epr che è stata progettata secondo le regole di Francia e Germania riguardo ai possibili incidenti (e che il nostro governo ha scelto per quattro centrali, ndr). Ma ha un costo elevato e molti Paesi o molte società di gestione del nucleare non sono interessati ad acquistarla".

La centrale giapponese era stata testata per terremoti di grado 7,5 della scala Richter, ma ne è arrivato uno di grado 9. Che senso ha costruire una centrale nucleare in zona sismica?
"Il problema centrale resta quello della sicurezza. In Giappone la scossa di terremoto è stata accompagnata dallo tsunami che ha messo fuori uso prima la rete elettrica e poi i generatori che davano la corrente necessaria a raffreddare l'impianto. La centrale è stata costruita pensando alla possibilità di terremoti e di allagamenti, ma il problema è l'intensità di eventi naturali che vengono previsti. Se si resta a un livello troppo basso e poi arriva lo tsunami o il terremoto devastante, il progetto è sbagliato e si corrono rischi troppo alti".

Qual è la situazione delle regole negli Stati Uniti?

"In qualche caso le regole sono state allentate. Secondo me non funziona il sistema di concedere una sola licenza che prevede la costruzione e la gestione dell'impianto. Meglio sarebbe tornare al sistema che vuole una prima licenza per la costruzione, quindi la verifica di quanto è stato fatto e sulla base dei risultati un nuovo permesso che dia il via libera alla gestione. Manca anche una chiara norma che dica che i nuovi reattori devono essere progettati con maggiore attenzione alla sicurezza rispetto a quelli in funzione".

Qual è il ruolo del Dipartimento dell'energia nel capitolo sicurezza?
"Non si occupa di questioni legate alle norme di salvaguardia delle centrali per uso commerciale, attività che invece è svolta dalla Nuclear Regulatory Commission. Ma sia la Nrc che altri enti simili in tutto il mondo sono diventati molto compiacenti in tema di sicurezza. Hanno cominciato a pensare che incidenti come quelli di Chernobyl o di Three Mile Island non possano accadere di nuovo. Gli avvenimenti del Giappone dimostrano l'esatto contrario".

Quale lezione viene da quanto sta accadendo a Fukushima?
"La prima indica chiaramente che bisogna pensare a tutto ciò che può accadere a un impianto nucleare e ad essere molto conservatori nel giudicare quanto si sta facendo, prendendo sempre precauzioni extra in tema di sicurezza. E gli avvenimenti dimostrano che nel mondo non è stato questo l'approccio. La seconda lezione traccia una strada chiara riguardo alla costruzione di nuove centrali: bisogna che siano più sicure di quelle in funzione oggi, anche se questo dovesse aumentarne i costi e rendere la produzione di energia nucleare meno competitiva tra le opzioni che hanno come obiettivo la riduzione dell'impatto sui cambiamenti climatici".

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