mercoledì 8 giugno 2011

Obbligo di lingua

di Marco Travaglio

Casomai servisse un vademecum per comprendere – al di là dei bei discorsi su ascolti, compensi, liquidazioni, guerre editoriali e giudiziarie, editti bulgari e postbulgari – come si lavora in Rai, capita a proposito il caso Report. Domenica Milena Gabanelli ha mandato in onda un servizio ordinato dall’Agcom, la cosiddetta Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

Garanzie di chi? Del ministro Giulio Tremonti, che l’anno scorso non aveva gradito una puntata di Report (“Conti, sconti e Tremonti”, 24 ottobre 2010) piuttosto critica sulla sua manovra finanziaria e sul conflitto d’interessi che lo vede ora nei panni di consulente fiscale di grandi gruppi finanziari (alcuni in contenzioso con l’Agenzia delle Entrate per violazioni fiscali), ora in quelli di ministro dell’Economia.

Invitato per tre volte da Report a dire la sua, Tremonti aveva sempre rifiutato. Ma subito dopo la messa in onda, anziché inviare una rettifica (casomai avesse qualcosa da precisare), o querelare (casomai fosse stato diffamato), o intentare una causa civile (casomai avesse subìto danni), si era rivolto all’Agcom con un esposto, lamentando la lesione dei principi di correttezza, completezza, imparzialità e obiettività dell’informazione: Report, a suo dire, avrebbe peccato di “partigianeria”, “interviste rilasciate da esperti di orientamento capzioso”, “tesi deformate e precostituite con l’obiettivo di screditare l’obiettivo messo nel mirino, adducendo la scusante di non aver interloquito con l’interessato”.

Ora, Tremonti non è solo il ministro più potente del governo B. È anche l’azionista di maggioranza della Rai e come tale nomina uno dei 9 del Cda.

Il 30 marzo l’Agcom prontamente obbedisce al diktat tremontiano con la delibera n. 185/11, approvata a maggioranza (contrari D’Angelo, Lauria e Sortino) e firmata dal commissario Antonio Martusciello (appena piazzato da B. per i suoi requisiti di specchiata indipendenza e competenza, essendo stato prima suo dipendente in azienda, poi coordinatore regionale del suo partito, infine deputato e viceministro del suo governo): “La Rai è tenuta ad assicurare il diritto di replica ai fini del riequilibrio della trasmissione Report... mediante la diffusione di una nuova puntata che dia spazio anche a voci e a testimonianze positive nazionali e/o internazionali, relative alla manovra economico-finanziaria del ministero dell’Economia, al fine dell’effettivo ripristino dei principi di obiettività, completezza e imparzialità dell’informazione”.

Non un fatto, un dato, una frase di Report sono ritenuti falsi, inesatti o diffamatori, ma siccome Tremonti piange va accontentato con una puntata riparatoria in cui si parli bene di lui. E, siccome lui non vuole parlare, per garantire il contraddittorio bisognerà intervistare un plotoncino di suoi fans che lo lecchino in sua assenza.

Strepitoso l’accenno alle “voci positive nazionali e/o internazionali” (come le sigarette di una volta: nazionali o esportazione): casomai non si trovasse nessuno disposto a leccarlo in Italia, lo si cerchi all’estero.

Il 10 aprile, mentre Rai3 annuncia ricorso al Tar contro questo delirio agcomico, la Gabanelli torna a invitare Tremonti o chi ne fa le veci a Report. Ma invano.

Il 9 maggio Stefania Rimini di Report raggiunge Tremonti a un convegno e, in conferenza stampa, lo invita ancora una volta a partecipare alla puntata in cantiere: “No, prima dovete fate una bella trasmissione riparatoria... Prima fate voi, poi vengo io”.

L’altra sera finalmente la puntata riparatoria: Sabrina Giannini implora alcuni economisti di parlare soltanto bene di Tremonti perché, se azzardano una critica, questa non potrà andare in onda “altrimenti l’Agcom ci multa di nuovo”. La critica è lecita solo se seguita dalla leccata. E nei programmi dove si lecca soltanto, come si garantisce il contraddittorio? Sarebbe disumano chiedere a Minzolingua di violentarsi criticando il governo: al massimo, in omaggio alla par condicio, ogni tanto potrebbe leccare anche l’opposizione.

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