martedì 14 giugno 2011

"Un colpo mortale al leaderismo"

FEDERICO GEREMICCA

È un ragionamento onesto e per nulla trionfalistico quello che snocciola Rosy Bindi, presidente dell’Assemblea nazionale del Pd, mentre un’auto cerca di fendere il traffico romano per raggiungere la festa organizzata dai vincitori dei referendum. Un ragionamento che non nasconde le responsabilità che il voto di ieri (e prima ancora quello per le amministrative) consegna alle opposizioni; che non sottovaluta un certo cambio di passo - ma meglio sarebbe dire di atteggiamento - maturato ai piani alti del Pd; e che alla fine, naturalmente, non tace della grande soddisfazione per un risultato che dimostra che «il Paese è ancora vivo, nonostante tutto e nonostante il fatto che in tanti non ci speravano nemmeno più».

Anche lei, presidente, dubitava che il Paese fosse vivo, vegeto e reattivo?

«Veniamo da mesi, da anni anzi - che rendevano possibile più di un dubbio. Anche io, a volte, mi sono interrogata intorno alla possibilità di reagire... E invece la straordinaria partecipazione ai referendum dimostra che il Paese è ancora vivo, e si ritrova su questioni essenziali. Ripeto: non era scontato. Così come non era scontato il messaggio che ci è stato consegnato».

Intende il messaggio politico insito nel risultato dei referendum?

«Il sì ai quesiti referendari ci consegna un’idea di sviluppo che sarebbe sbagliato sottovalutare. La maggioranza degli italiani ritiene che ci siano dei “beni comuni” - e l’acqua è tra questi - da considerare intoccabili e da non consegnare alla logica del profitto; e il voto sul nucleare, poi, ci dice che la qualità della crescita è considerata più importante della crescita a qualunque costo. Infine, naturalmente, c’è un pronunciamento netto circa il fatto che la democrazia si basa sul principio che la legge è uguale per tutti: e che chi governa deve rispettarla più degli altri. Non è poco, e sarebbe sbagliato sottovalutarlo».

E il valore politico del voto? Tutti interpretano i referendum come un altro colpo al governo, lei no?

«E’ importante prima di tutto l’idea di democrazia che questo voto ci consegna: un no netto al populismo, al leaderismo e un sì chiaro alla partecipazione. Che tanta gente si sia ritrovata intorno ai quesiti referendari, non disertando le urne, è un fatto in sé: e io lo considero un messaggio importante per la politica, che aveva visto cedimenti culturali di non poco conto. Dopodiché, naturalmente, il voto è un anche un pronunciamento forte e chiaro contro il governo. Ma riterrei sbagliato fermare l’analisi solo a questo aspetto qui».

Comunque sia, le opposizioni hanno molte e buone ragioni per festeggiare...

«Credo che sia così. E credo che sia così perché anche noi del Pd abbiamo forse rivisto quel che c’era da rivedere. Non ho difficoltà ad ammettere una nostro certo distacco, una certa freddezza, al momento del lancio dei referendum e della raccolta delle firme: ma quando abbiamo capito che in piazza a firmare c’era anche la nostra gente, siamo stati in grado di correggere la rotta».

Secondo alcuni, qualcosa del genere - maggiore capacità di ascolto di elettori e iscritti - si è manifestata anche dopo alcune primarie (Milano, Cagliari...) difficili per i candidati Pd: poche polemiche e tutti a sostenere il vincitore, è d’accordo?

«I partiti si radicano e vincono quando sanno capire e interpretare la gente che rappresentano. Noi forse abbiamo avuto nel passato qualche difficoltà, ma abbiamo accettato i risultati delle primarie e sostenuto con forza i candidati. Adesso l’errore da non commettere, a mio avviso, è sottovalutare la responsabilità di cui le opposizioni sono state investite col doppio voto delle amministrative e dei referendum».

A che responsabilità allude?

«A quelle che derivano dall’essersi impegnate e battute per la chiusura di una fase, quella del berlusconismo: ne abbiamo l’obbligo di fronte al Paese. Dopo che i nostri elettorati - intendo quello del Pd e quelli della sinistra e del Terzopolo - si sono fusi e alleati prima alle amministrative e poi al referendum, il compito che ci attende è appunto aprire una fase nuova. Tutti assieme, al di là di distinguo sempre meno comprensibili».

Lei vede dunque così vicina la caduta del governo?

«Io non penso che Berlusconi abbia voglia di mollare: non si darà per vinto e occorre vigilare. Ma non sono più sicurissima che la maggioranza riesca a tenere. Si sentono scricchiolii imprevisti: le polemiche nel Pdl, certe divisioni all’interno della Lega, i molti distinguo tra il Carroccio e Tremonti...».

E quindi?

«Non riesco a immaginare quel che accadrà. Potrebbero tentare di restare assieme puntando a mettere in agenda cose semplici, ma non sarà facile ed è un tentativo che avverseremo. Stavolta possono restare al loro posto solo presentandosi all’imminente verifica con un programma di cose serie da fare. Devono dirci, per esempio, su cosa intendono puntare per varare la manovra da 40 miliardi necessaria al Paese. Tocca a loro, ci dicano qual è la loro road map. E se non sanno dove mettere le mani, allora sì che devono andare a casa subito. L’alternativa adesso c’è: lo hanno dimostrato gli elettori, e spero che nessuno ne dubiti più...».

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

A me la Bindi è sempre piaciuta! Era l'allieva prediletta di Vittorio Bachelet, ordinario di diritto pubblico a La Sapienza a Roma. Fu ucciso da comando delle B.R. sotto gli occhi della Bindi, sua assistente universitaria, il 12 febbraio 1980, mentre usciva dalla facoltà di Scienze politiche, conversando con la Bindi. In questa intervista ha elegantemente glissato la domanda: il PD ha appoggiato totalmente i referendum solo dopo le vittorie di Milano, Napoli e Cagliari.
Io la vedrei candidata Premier nella prossima tornata elettorale, ma temo non ci siano speranze!:-(