martedì 14 giugno 2011

Acqua: il problema incomincia ora

RAFFAELLO MASCI

E adesso che cosa cambierà nella gestione dell’acqua? «Ah, saperlo - commenta il sindaco di Asti, Giorgio Galvagno, che è anche il responsabile per i Servizi pubblici locali dell’Anci -. Nei Comuni ci troveremo ad affrontare una situazione di incertezza, con problemi di raccordo fra la legislazione europea e quella nazionale in materia. Una situazione di fronte alla quale bisognerà vedere quale sarà l’intento del legislatore nazionale, ma che nel frattempo impone agli amministratori locali una riflessione sul tema».

In sostanza si attendono lumi da una nuova legge, ma nelle more dovranno essere i Comuni stessi a organizzarsi, ovviamente all’interno degli Ato (gli ambiti territoriali ottimali, una specie di Asl dei servizi). La legge Ronchi, che è stata abrogata, imponeva la privatizzazione di almeno il 40% delle società di gestione dei servizi idrici, entro l’anno, e questo obbligo - ovviamente - non c’è più. Resta però la normativa comunitaria che consente, invece, di affidare la gestione del servizio sia alle società pubbliche, che a quelle private che alle miste, attraverso un sistema di gare
. La possibilità di gestione privata, dunque, non è più vincolante ma resta come possibilità.

Ma qui nasce un nuovo problema. Questa possibilità, infatti, è del tutto teorica, perché il secondo referendum ha abolito la possibilità per i privati di avere una «adeguata remunerazione del capitale investito» (quel tanto discusso 7%). E quindi quale soggetto imprenditoriale vorrà impegnarsi in un business dal quale non potrà avere un ritorno certo e interessante? A complicare ulteriormente il quadro, poi, c’è il fatto che il referendum ha sì soppresso la norma che consente ai privati di guadagnare, ma non ha abolito il cosiddetto «metodo normalizzato» di definizione delle tariffe che, al suo interno, prevede anche un ritorno economico per gli investimenti. Siamo, quindi, di fronte a un rompicapo.

Ma non è tutto
. Delle circa 110 società di gestione del servizio idrico, una quarantina hanno già al loro interno un soggetto privato, il quale ha tirato fuori dei soldi sapendo di trovarsi di fronte ad una concessione lunga (in genere 20-30 anni) e ad una ricaduta economica importante. Ora, per queste società la concessione non cambia, ma il business cambia eccome. E’ possibile, quindi, che molte (o alcune) di queste società facciano ricorso alle carte bollate e protestino per il repentino cambiamento, che trasforma i loro investimenti in flop.

La soluzione sarebbe, a questo punto, una ripubblicizzazione totale dell’acqua, con i Comuni che ricomprano le quote cedute ai privati: costo stimato
un miliardo, che andrebbe ad aggiungersi ai due miliardi l’anno per 30 anni necessari a risistemare la rete idrica (60 miliardi in 30 anni). Questi soldi, posto che i privati daranno forfait, chi li tirerà fuori? Forse nessuno.

Per i finanziamenti non ci sono scenari al momento. Quanto alla normativa, la soluzione potrebbe venire da un nuovo intervento legislativo. Ma, per intanto e per rispondere ai quesiti dell’Anci, si potrebbe demandare il tutto a un parere del Consiglio di Stato (che qualcuno, però, dovrebbe interpellare).

1 commento:

Francy274 ha detto...

I giornali, la repubblica di Salò, i finanziamenti alle imprese di silvio, le scuole private, le cliniche private, i super maneger politici negli enti... insomma basta recuperare parte dei soldi dei contribuenti elargiti per gli abusi degli abusandi, non dargliene più, e cominciare a usare i soldi delle tasse dei contribuenti per questi scopi... Mi pare ovvio no? O bisogna indire un altro referendum per recuperarceli da Noi i soldi delle tasse che andrebbero spesi per questi problemi?