giovedì 23 giugno 2011

VERIFICA SOLO NELL’OPPOSIZIONE
DI PIETRO A BERSANI:“SIAMO IN CRISI”

Mentre fuori dal Palazzo la polizia carica i precari

di Paola Zanca

“Gentilissimo presidente, ho ascoltato attentamente il tuo intervento. Non lo condivido, ma ti faccio i complimenti per la chiarezza”. La firma è di Francesco Colucci, deputato pdl. Il destinatario, Antonio Di Pietro, leader dell'Italia dei Valori. Un attimo prima, il ciellino Maurizio Lupi si era alzato per stringergli la mano. E subito dopo era toccato sentire complimenti dalla voce del capogruppo Fabrizio Cicchitto ed elogi pure dal leghista Marco Reguzzoni. Di solito, quando parla nell'aula di Montecitorio, Di Pietro si rivolge al “signor presidente del Consiglio che non c'è”. Perché tradizione vuole che le volte in cui Berlusconi è intervenuto alla Camera, prende parla e se ne va. E invece, nella prima occasione in cui se l'è trovato davanti, Di Pietro ha spiazzato tutti: niente accuse a “Videla”, niente attacchi al “governo piduista”, questa volta il bersaglio è Bersani.

MEZZ'ORA prima di parlare, si era intrattenuto in chiacchiere proprio con il presidente del Consiglio che questa volta c'è.

Racconta Di Pietro che non si è parlato di nulla in particolare, semplicemente Berlusconi si è avvicinato “al vero leader dell'opposizione” per spiegargli “che il governo sta facendo il bene del Paese”. Lui gli ha risposto che “farebbe davvero il bene del Paese se se ne andasse al più presto”. Ma i suoi sostenitori su Facebook temono che l'esordio “morbido” del discorso di Di Pietro (“La ringrazio per ascoltare questa volta anche la voce dell'opposizione”) sia un effetto del colloquio appena concluso. “Ci devi dire cosa vi siete detti col nanerottolo quando parlavate fitto fitto. Vogliamo risposte, non domande”, scrive Mauro. “La cosa non è piaciuta a moltissimi... sappilo”, avverte Massimo. “Mi associo alla curiosità espressa da molti...”, insiste Claudio. E Angelo conclude: “Pessimo, veramente pessimo, oggi”. Un po’ lo stesso grido che si è levato dai banchi del Pd mentre lo sentivano parlare: “Ma che hai fatto un accordo con Berlusconi?”. Il premier è venuto a dare spiegazioni per il rimpasto delle settimane scorse, nessuno si aspettava che al leader Idv, come prima cosa, venisse in mente di chiedere: “E noi che facciamo?”. Invece sì, mentre “Videla”, “il piduista” annuisce, Di Pietro snocciola interrogativi all'opposizione: Qual è il nostro programma? Qual è la nostra coalizione? Come scegliamo il nostro leader?”. Poi l'ammissione: “Siamo in crisi e io lo devo dire qui pubblicamente: non lo so”. Dice al Pd che ha “il dovere e l'onere di convocarci”, implora l'“amico Luigi, comincia tu”.

Spiegheranno dal suo staff più tardi che da sei mesi chiede a Bersani di sedersi a un tavolo, di fissare, con lui e con Vendola, sei punti programmatici “per meritarci la fiducia degli elettori”. E invece, sostengono, i democratici continuano a strizzare l'occhio al Terzo Polo. Dicono che l'intervento di Di Pietro (“un clamoroso autogol”) abbia suscitato soltanto “ilarità”. Bersani interviene poco dopo, ed effettivamente liquida in fretta l'attacco alleato: “Riunioni, Di Pietro, ne faremo quante ne vuoi”.

NE AVRANNO da fare parecchie anche nella maggioranza. Ieri non si è votato, la fiducia il governo l’ha già incassata il giorno prima, con i 317 sì (“Uno in più della maggioranza assoluta della Camera”, gongola Berlusconi) con il voto sul decreto Sviluppo. Ma che sia una stabilità di carta, lo si capisce dai movimenti che hanno accompagnato tutta la seduta. I leghisti che non applaudono il discorso del premier e restano zitti quando parte il coro “Silvio , Silvio”, Bossi, Calderoli e Tremonti seduti come estranei ai banchi dei ministri, Maroni apparso in aula solo a fine comizio. E poi la processione inarrestabile dei Responsabili al capezzale del presidente del Consiglio: Antonio Razzi (due volte), Maria Grazia Siliquini (accompagnata da una scollatura vertiginosa), Maurizio Grassano e Luciano Sardelli, che il premier ha personalmente chiamato a rapporto. “Capisco che la tengono in vita e sono degni di grande considerazione – si interrompe l’udc Mauro Libè – ma noi parliamo al Paese, che ci ascolti o no, poco importa”.

La verità è che quella che doveva essere una giornata campale si è trasformata in un elogio della distrazione. Dentro e fuori dal Palazzo. In aula, oltre a Libè, lamentano poca attenzione Rosy Bindi e Maurizio Lupi salvo poi abbandonare (entrambi) gli scranni appena il loro intervento si era concluso. Fuori, i comitati dei precari (quelli della scuola sono in presidio da sabato scorso) si scontrano con la polizia. Furibondi perché nessuno li ascolta. Un uomo, 68 anni, mantiene un briciolo di speranza. “Non se ne sono accorti? Mah, alla finestra ho visto spostare una tenda...”.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Anche la base dell'IDV non capisce un cazzo! Bersani poi si è definitivamente sputtanato, essendo evidente che non conta né comanda nulla!