venerdì 1 luglio 2011

Antifemminismo? La Lega ce l’ha duro

di Flavia Perina

Caro direttore,

prima o poi doveva succedere ed è successo: è arrivata una azienda, la Ma-Vib di Inzago, che davanti alla necessità di licenziare ha deciso di dare la priorità alle donne. Non c’è stato neppure imbarazzo nel giustificare la scelta davanti alla Associazione piccole medie imprese: “mandiamo via le donne – questo il succo del ragionamento – così possono stare a casa curare i bambini e poi, comunque, quello che portano a casa è il secondo stipendio. La vicenda fa il paio con caso-choc di Adro, dove una intera comunità si ribellò prima all’idea di pagare la mensa a una decina di bambini poveri e poi alla proposta di un imprenditore locale di sostenere lui le spese con una donazione. La deriva maschilista e l’abbandono di ogni minimo principio di solidarietà con i più deboli sono gli elementi che più vistosamente segnalano la regressione culturale di un popolo.

Nell’Afghanistan conquistato dai talebani, le prime misure riguardarono l’esclusione delle donne dalle professioni e l’abbandono delle vedove e degli orfani alla carità privata. C’è da chiedersi come sia possibile che nel nostro Paese esistano comunità e imprese che con naturalezza, senza neppure porsi il problema della portata di azioni di questo tipo, adottano comportamenti che in tutta Europa sarebbero impensabili prima che sindacalmente e legalmente impraticabili .

In questi giorni sta facendo molto discutere un libro che disegna l’antropologia della Lega Nord, si intitola L'idiota in politica (di Lynda Dematteo, Feltrinelli) e rappresenta il fenomeno lumbard come il trionfo dell’archetipo del Bertoldo, il “finto scemo” che dà voce al popolo esprimendone tra ironia e furia i sentimenti più profondi, compresi quelli “socialmente inaccettabili”.

Il problema è che, una volta liberati, i demoni del politically uncorrect non volano solo sul prato di Pontida, nei comizi, nelle intemerate televisive di Borghezio o di Calderoli.

Quegli spettri diventano condotta privata prima, e poi scelta pubblica, e addirittura “linea istituzionale”. E cos’è il celodurismo padano se non una costante esibizione di supremazia maschile, l’esaltazione di una “diseguaglianza genetica” che premia chi “ha gli attributi”?

Se poi, come succede da anni sul tema dei diritti e dell’uguaglianza delle donne, alla provocazione dell’idiota si associa il caricaturale machismo del premier-Casanova, siamo fritti, anzi fritte.

La scelta degli imprenditori di Inzago, in fondo , non è che la trasposizione pratica di una delle più famose battute di Silvio Berlusconi: «Signorina, mi chiede come farsi avanti nella vita? Dia retta a me, si trovi un marito ricco».

La prima volta la sentimmo pronunciare tre anni fa, davanti alla platea dei giovani di An alla festa di Atreju, l’ultima, se non sbaglio, nel maggio scorso durante il premio alle “eccellenze italiane”, cioè a un gruppo di ragazzi laureati con il massimo dei voti.

In fondo, nel comune milanese, non hanno fatto che applicare quella filosofia: il lavoro delle donne non è indispensabile perché hanno un marito oppure possono trovarselo.

In questa situazione c’è ancora chi si chiede perché le donne in Italia siano la categoria più arrabbiata, e la prima fascia elettorale ad aver abbandonato la maggioranza di governo contestandola platealmente con le manifestazioni dei 13 febbraio.

Nel secondo week end di luglio il movimento di “Se non ora quando” tornerà a riunirsi in una convention a Siena, e spero che si abbia il coraggio e la forza di andare alla radice del problema che si sta manifestando in Italia: il modello berlusconian-leghista rischia di demolire sul piano sociale e culturale le conquiste legislative in materia di parità. Perché è inutile avere norme draconiane sulla uguaglianza dei diritti, dei salari, delle garanzie, se nell’immaginario collettivo del Paese la fatica e l’impegno delle donne “valgono meno”. «Quella leva il lavoro a un uomo» è una frase che la mia generazione ha sentito, e che non vorremmo sentire mai più. Bisogna dirlo con chiarezza, senza il timore di apparire drammatiche o retrò.

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