mercoledì 6 luglio 2011

Il Caimano affondato nel triangolo delle Bermuda

TREMONTI, BOSSI E NAPOLITANO LO FERMANO
LUI SI LAGNA: “IL COLLE CONTRO DI ME, VENDO”

di Fabrizio d’Esposito

Cronaca di “un suicidio inutile”, come a tarda sera commentano con amarezza e rabbia da Palazzo Grazioli, la residenza romana del premier. Un film serrato, in cui i tempi sono stati decisivi. A partire dalla prima scena fortemente simbolica. Quella di Giulio Tremonti che ricompare con il sole. Dieci minuti esatti dopo il dolente annuncio di Silvio Berlusconi sul ritiro della norma salva-Fininvest. Roma, teatro Celsa, vicino a piazza del Gesù. Alle 17 e 15 è in programma la presentazione di un libro sulle fondazioni bancarie, organizzato dalla rivista Formiche di Paolo Messa, ex portavoce di Marco Follini. Arriva Romano Prodi, poi Giuliano Amato.

MA LA RESSA di fotografi e cronisti è tutta per lui: il super-ministro dell’Economia che in mattinata ha annullato la conferenza stampa sulla manovra, prevista a mezzogiorno. Ufficialmente perché non è potuto rientrare nella Capitale a causa del maltempo in mattinata. Poco dopo le cinque e mezzo del pomeriggio, le agenzie di stampa battono il flash: “Berlusconi: norma giusta ma la ritiro”. D’incanto spunta il

Tremonti desaparecido, proveniente da piazza del Gesù. Cammina a piedi e viene circondato da telecamere e microfoni. Non risponde alle domande sul “frodo Mondadori”, ma sorride sornione e poi concede una battuta perfida ai giornalisti che non lo mollano: “Ho l’impressione di essere seguito”. Chiaro riferimento allo sfogo di qualche settimana fa contro B.: “Silvio tu mi fai pedinare”. Il ministro entra nel teatro e regala un’altra immagine suggestiva: nel giorno in cui il Cavaliere è costretto a fare marcia indietro su una norma ad aziendam per la sua “roba”, Tremonti si accomoda allo stesso tavolo con Prodi e Amato, entrambi ex premier del centrosinistra. Infine, si apparta con Gianni Letta, mediatore con il Quirinale. Sberle su sberle. In una giornata funestissima per B., cominciata con l’ira di Tremonti messa nero su bianco sui quotidiani. Il ministro fa sapere che quella norma per salvare Fininvest dal risarcimento per il lodo Mondadori non la voleva e non la vuole. Il suo è un rigetto totale, come racconta chi ha parlato con lui: “Giulio aveva varato la finanziaria anti-casta e si ritrova l’ennesima porcata messa di nascosto”. S’apre anche il giallo della solita manina: chi l’ha infilata nel testo giunto al Quirinale lunedì scorso? I sospetti si addensano sul ticket delle leggi ad personam di B.: Ghedini e Alfano, già protagonisti tre anni fa del famoso refuso sulle intercettazioni, dl anziché ddl, che fece infuriare Napolitano. Ghedini smentisce.

Alle undici la prima mazzata: dal ministero dell’Economia annullano la conferenza stampa per illustrare la manovra: “Tremonti è bloccato dal maltempo”. A Palazzo Grazioli osservano : “Una scusa strumentale, la conferenza si poteva anche rinviare di qualche ora, non annullare”. Il Cavaliere ha la sensazione chiara di essere finito in un tenaglia triangolare: il Colle, Tremonti, la Lega di Bossi. Perdipiù, nel Pdl in pochi muoiono dalla voglia di esporsi in difesa della norma. Solo la Santanché, in pratica. A giochi fatti, più tardi, persino Maurizio Gasparri dice: “Decisione saggia togliere la norma, è stato un errore metterla”.

ALLE DUE del pomeriggio, il premier capisce che non c’è più nulla da fare. Gianni Letta gli illustra le osservazioni del Quirinale sulla manovra. Sono varie. La più importante riguarda proprio l’articolo per salvare Fininvest. Ancora una volta B. si scaglia contro “Napolitano, la vera opposizione del mio governo”, non senza altri attacchi alla magistratura che lo“perseguita”. Poi cede e dà ordine di studiare e confezionare la nota della resa. La tenaglia però continua a stritolarlo. Tremonti si fa vivo in pubblico e la Lega esce allo scoperto con i suoi mal di pancia. Racconta un ministro a microfoni spenti: “Il vero stop l’ha dato Bossi”. Che tradotto significa: se anche la manovra avesse superato “colonne d’Ercole del Colle, avrebbe trovato un ostacolo durissimo” nel Carroccio, ormai dominato dall’asse Maroni-Calderoli. Quest’ultimo si sofferma apertamente sul giallo della manina: “Non posso commentare ciò che non ho visto nè letto”. Il senso è chiarissimo: nel testo approvato giovedì scorso dal consiglio dei ministri la norma non c’era. Poi quattro giorni per spedirla a Napolitano. Più dubbioso il ministro “Responsabile” Romano: “Se c’è una norma l’abbiamo votata tutti. Ma io non so se c’è”.

NEL PDL, inoltre, molti sono convinti che Tremonti fosse al corrente sin dall’inizio (e non da lunedì scorso) della norma salva-Fininvest, consapevole che poi sarebbe arrivata la bocciatura di Napolitano. Di qui la congettura di un trappolone di “Giulio e Umberto”. Ieri a Palazzo Grazioli, il premier si è lasciato andare in più d’una occasione a confidenze e sfoghi di vario genere. Uno riguarda i figli: “Sono molto preoccupato per loro. Se la sentenza d’Appello sarà contraria mi tocca valutare di nuovo l’ipotesi di vendere tutto”. Non è la prima volta che il Cavaliere fa un pensiero del genere. La tentazione di vendere ritorna ciclicamente. La novità è che qualche mese fa qualcuno interessato a comperare c’era. Ma dopo la due diligence avrebbe preferito rinunciare. I debiti dell’impero berlusconiano sarebbero molti. I guai sulla “roba” fanno il paio con quelli del governo. Appena una settimana fa, Tremonti era sotto scacco e circolava già il nome del suo successore, Bini Smaghi. Adesso ha ritrovato, almeno per il momento, la sponda della Lega. E se ieri ha minacciato le dimissioni, come si racconta, l’ha fatto con “la riserva mentale” che poi il Colle a ore gli avrebbe dato ragione.

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