sabato 2 luglio 2011

Il Tar: protezione al pentito Spatuzza

La sua vita da detenuto resta la stessa. Anche ora che il Tar gli ha dato ragione annullando la decisione della Commissione dei pentiti del ministero dell’Interno che, un anno fa, non lo aveva ammesso al programma di protezione. Gaspare Spatuzza, ex capomafia di Brancaccio, in realtà è sotto protezione da quando ha cominciato a parlare.

La bocciatura del Viminale, sospesa in attesa dell’esito del ricorso presentato dai suoi legali, non ha alterato il suo status e la tutela provvisoria chiesta da tre Procure e dalla Dna non gli è mai stata tolta. Le controversie giudiziarie dell’ultimo anno non hanno influito neppure la sua scelta di collaborare con la giustizia presa, nell’estate del 2008, dopo una sofferta conversione religiosa: perchè l’ex braccio destro dei boss di Brancaccio, che sta riscrivendo la storia delle stragi del ’92, non ha mai smesso di parlare. Ma che la decisione dei giudici amministrativi abbia un peso è innegabile. Soprattutto perché fissa un principio a cui la commissione del Viminale, che dovrà tornare a pronunciarsi sul caso Spatuzza, dovrà attenersi. E il principio è importante.

Spatuzza ha reso dichiarazioni tardive, riferendo ben oltre i termini fissati dalla legge - 180 giorni dall’avvio della collaborazione - quanto seppe dal boss Graviano su suoi presunti rapporti con
Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi: fu l’appunto della commissione che costò al collaboratore l’ammissione definitiva al programma. «Replica» il Tar: i pentiti sono obbligati a dire entro i 180 giorni previsti dalla legge tutti i fatti a loro diretta conoscenza. Le dichiarazioni su cose apprese da altri non rientrano nel limite temporale imposto dalla norma. Quindi il collaboratore che parli «tardivamente» di circostanze sapute indirettamente - quale che sia la loro importanza - non è sanzionabile con l’espulsione o la non ammissione nel programma di protezione. Una interpretazione della legge che secondo il sottosegretario all’Interno Mantovano, presidente della commissione dei pentiti che ha «bocciato» Spatuzza, «dissolve» la norma che fissa il paletto dei sei mesi, approvata dal parlamento nel 2001 con voto unanime.

Non la pensano così i magistrati che in Spatuzza hanno creduto: come quelli della Procura di Firenze, che raccoglie le verità del collaboratore sulle stragi del Continente e che, insieme ai colleghi di Caltanissetta, Palermo e della Dna, ha chiesto per l’ex killer l’ammissione al programma. E certo a non condividere i timori di Mantovano sono anche i legali di Spatuzza - Valeria Maffei, Sergio Luceri e Adriano Tolomeo - che hanno presentato il ricorso e che accolgono con esultanza la decisione del Tar. Il loro cliente ancora non l’hanno sentito. In isolamento da anni, per scelta, «Asparino» non ha commentato. D’altronde non lo fece neppure dopo la decisione presa a maggioranza dalla commissione - due i voti contrari - e da più parti definita politica. «Si vuole colpire il pentito perchè ha tirato in ballo Berlusconi e Dell’Utri», si disse un anno fa. «Io vado avanti - le uniche parole del collaboratore - perchè la mia è una scelta da cui non si torna indietro».

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