sabato 2 luglio 2011

La politica del rinvio


di CLAUDIO TITO

QUESTO governo è ormai incapace di assumere decisioni. La sua maggioranza è troppo debole e confusa per segnare una linea netta. Ogni scelta diventa un compromesso al ribasso. Quel che è accaduto ieri in consiglio dei Ministri rappresenta plasticamente una coalizione che balbetta senza sosta. Sull'emergenza rifiuti a Napoli si è addirittura spaccata con il voto esplicitamente contrario della Lega al decreto sollecitato anche dal presidente della Repubblica. Sulla manovra economica ha rinviato di fatto ogni risoluzione al 2014: quando l'attuale Parlamento sarà ormai scaduto. E infine ha fatto slittare la designazione del successore di Mario Draghi alla Banca d'Italia.

Un esecutivo dunque condizionato dalle sue debolezze e da una alleanza che si sente precocemente esausta. Come se avvertisse in anticipo la fine della legislatura. Non si spiegherebbe altrimenti il clamoroso capitombolo in cui è incorso mercoledì scorso alla Camera sulla cosiddetta legge comunitaria. Un provvedimento delicato, svanito per le assenze di quasi sessanta deputati del centrodestra e che ora può esporre l'Italia a salatissime sanzioni da parte dell'Unione europea.

Ma a pagare la fragilità del governo è soprattutto la manovra economica. Che al momento si presenta come un contenitore vuoto. Un insieme di "desiderata" da realizzare successivamente. Il suo obiettivo principale sarebbe quello di rispettare gli impegni europei sul debito, che negli ultimi anni è schizzato al 120 per cento. Eppure tutto viene rimandato al 2013-2014. Come una "maxi-rata" per l'acquisto di una vettura. Un modo per scaricare sul prossimo Parlamento e sul prossimo governo l'urgenza di misure draconiane per recuperare in due anni almeno 40 miliardi di euro. Proprio il contrario dell'appello alla "responsabilità" lanciato dal capo dello Stato. E sebbene il presidente del consiglio continui ad assegnare le colpe dell'esplosione del nostro debito sui governi della Prima Repubblica, dimentica che solo quattro anni fa il rapporto debito/pil si attestava al 103%. E che nel 1990 era stabilmente al 99%.

Il punto, comunque, è che tutti gli interventi annunciati sono coniugati al futuro e soprattutto non sono illustrati nei loro contenuti. Non si capisce su cosa inciderà il bisturi del risparmio e come verrà finanziato l'aiuto allo sviluppo promesso. Il governo assicura che ci sarà una graduale riduzione dell'Irap e che i giovani imprenditori saranno incentivati con un forfait fiscale del 5 per cento. Ma la copertura al momento appare ignota. Soprattutto se - come hanno ribadito il premier e il ministro Tremonti - non verrà aumentata l'Iva. Tutto sembra congelato in un equilibrio talmente precario da rendere ogni passo incerto. Anzi, tutto diventa solo futuribile. Come la riforma fiscale e quella previdenziale. Le tre aliquote irpef contenute nella delega entreranno in vigore entro tre anni. Ossia entro il 2014. Quando, appunto, questo governo e queste Camere non ci saranno più.

E la riduzione delle tasse verrebbe finanziata con una revisione del sistema delle detrazioni e delle deduzioni e con il recupero dell'evasione fiscale. Uno strumento, quest'ultimo, che venne criticato già in passato dal Quirinale per un motivo molto semplice:
associa uscite certe e entrate incerte. Senza contare che la sforbiciata ai costi della politica non sono affatto immediati: riguarderà, appunto, la prossima legislatura. "Non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani", ha detto Berlusconi preoccupato di non peggiorare il suo tasso di popolarità. In questo caso, però, non le ha messe per togliere ma neanche per aggiungere. Tutto è rinviato, tutto appartiene al futuro. Ma, come ammoniva John Maynard Keynes, "nel lungo periodo siamo tutti morti".

(01 luglio 2011)

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