venerdì 22 luglio 2011

L’asse dei "tre Roberti" contro il cerchio magico

FABIO MARTINI

L’ Umberto l’aveva confidato soltanto ai suoi e la notizia era stata «silenziata». Due giorni fa, mentre il ministro dell’Interno Roberto Maroni andava su e giù tra i banchi della Lega per «motivare» i suoi nel voto anti-Papa, il capo del Carroccio non era presente in aula perché si era ricoverato per un piccolo intervento di cataratta. Certo, una decisione presa diversi giorni prima, dunque programmata esattamente per le ore in cui alla Camera era stata fissata la votazione sulla richiesta di arresto del deputato del Pdl. Una giustificazione ineccepibile per defilarsi nel giorno della coltellata? Moderate dietrologie sono autorizzate dal calendario degli impegni di Bossi nelle prossime 48 ore: questa mattina l’Umberto non parteciperà alla riunione del Consiglio dei ministri dove sarebbe stato inevitabile un chiarimento a tu per tu con Berlusconi, ma in compenso (a leggere «la Padania») in serata il capo della Lega parteciperà a una festa in provincia di Novara, mentre domattina dovrebbe essere presente all’inaugurazione degli uffici ministeriali alla Villa Reale di Monza.

E d’altra parte per tutta la giornata di ieri Bossi non ha fatto trapelare commenti davanti alle interpretazioni dei giornali che hanno parlato di spaccatura dentro la Lega e di colpo mortale inferto al governo. Ma proprio il silenzio di Bossi sembra confermare una lettura meno lapidaria circa il significato della clamorosa votazione di due giorni fa. Già da qualche tempo - e questa è una novità rispetto alla vecchia geografia interna della Lega - si è saldato un «asse dei ministri», un patto tra due personaggi un tempo antagonisti come
Roberto Maroni e Roberto Calderoli, uniti però dall’insofferenza per lo strapotere del cosiddetto «cerchio magico», il clan che da tempo attornia il capo e - a parere di molti - lo condiziona pesantemente: i due capigruppo parlamentari Marco Reguzzoni e Federico Bricolo, la «pasionaria» Rosi Mauro, la moglie del capo, Manuela Marrone. E così, nei giorni scorsi, in vista della decisiva votazione su Papa, il «resto del mondo» leghista si è saldato. Un fronte ampio che comprende quasi tutta la nomenclatura: oltre ai due ministri di punta, il viceministro Roberto Castelli, il segretario della Lombardia Giancarlo Giorgetti e il sindaco di Verona Flavio Tosi. Un patto in difesa della «ditta» che prevede anche una divisione dei ruoli: Maroni si giocherà le sue carte come uomo di governo, Calderoli prenderà in mano le redini del movimento. Con Bossi padre nobile.

Per fare cosa? Far cadere il prima possibile Berlusconi e sostituirlo con un altro premier di centrodestra? Oppure per trasformare la Lega nella locomotiva di una nuova fase politica? Su
questo il dibattito è aperto. Quelli che hanno parlato nelle ultime ore con Maroni in via informale hanno ascoltato un Bobo consapevole che dopo il voto del 20 luglio «nulla sarà come prima» e che col voto su Papa è iniziato per davvero il dopo-Berlusconi. Indirettamente lo conferma lo stesso Maroni. Dopo il terremoto mediatico e politico di due giorni fa, nell’unica esternazione fatta ieri, anziché smentire indignato, si è limitato a dire: «Il voto alla Camera non ha avuto alcuna ripercussione sul governo». Tutto qui. Ma un «maronita» emergente, un sindaco di successo come Tosi, primo cittadino di Verona, è molto esplicito: «Il problema non è l’alleanza, ma chi la guida e guida il governo». Come dire: da qui al 2013 non molliamo l’alleanza ma mettiamo un altro premier a Palazzo Chigi. Eppure, da sinistra e anche dal centro, in tanti consigliano a Maroni di rendere la Lega protagonista di una svolta verso una nuova stagione, passando attraverso un governo di unità nazionale. E chi ha parlato informalmente con Maroni - anche big del centro e della sinistra tra cui Massimo D’Alema- si sono sorpresi di trovare un Bobo molto motivato rispetto ad una svolta radicale. Ma un leghista della prima ora come Mario Borghezio non ci crede: «Per come è sistemata la sinistra la vedo difficile, ma in compenso è urgente nella maggioranza un cambio di rotta molto chiaro».

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