martedì 5 luglio 2011

Marta, ex impiegata sulle barricate Il padre: ditemi dove ho sbagliato

NICCOLO' ZANCAN

«Non pensavo che mia figlia fosse così idiota». Questa frase è una bandiera bianca nel cielo italiano. Non solo la resa incondizionata di un padre di fronte al suo fallimento, è proprio la fine di ogni possibile speranza di comprensione. «Del resto, se avessi capito perché Marta si è ridotta in quel modo, forse avrei fatto in tempo a evitare certe cose. Ma sinceramente lo ignoro».

Il padre di Marta Bifani, una delle quattro persone arrestate per la guerriglia di Chiomonte, è un professore di Lettere in pensione. Abita a Fidenza in un condominio Anni Settanta. Inganna il tempo scrivendo poesie. Alle tre di pomeriggio - ventiquattro ore dopo i fatti - risponde al telefono come da un altro pianeta. «L’hanno arrestata? Mi scusi, è uno scherzo? Non ho visto niente, questa mattina non sono sceso a comprare i giornali. Mi spieghi bene, sono un po’ frastornato. Ma cosa devo fare? Ha un numero del carcere? Qual è il reato? Pazzesco...». La storia di sua figlia Marta, partita dalla provincia benestante di Parma e finita sulle barricate No Tav in Val di Susa, la racconta senza enfasi: «Faceva l’impiegata. Aveva una vita normale. Poi, si sa, succedono cose imponderabili. Qualcuno viene folgorato sulla via di Damasco, Marta invece è stata oscurata sulla via di Bologna. Ha conosciuto un ragazzo di un centro sociale. È diventata prima vegetariana, poi vegana, poi ha iniziato a fare campagne contro le pellicce. Animalista convinta. Sì, ogni tanto ci vediamo... Ma non sapevo che fosse in questa situazione. Intendo dire: speravo non fosse arrivata a questo livello di idiozia. E poi ad aprile è mancata sua madre. Cavolo, non si può spiegare...».

Per fortuna spesso si sono spiegati da soli, i quattro arrestati. E sono voci che arrivano da un altro secolo. Un ritorno sulla scena, si potrebbe dire: tutto tranne che una sorpresa. Gianluca Ferrari, Marta Bifani, Roberto Nadalini e Salvatore Soru hanno molto in comune, oltre al fatto di essere stati fermati domenica pomeriggio con l’accusa di lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Per esempio, il considerevole numero di denunce accumulate per altre «guerre contro gli sbirri»: 30, 10, 8, 13. Nessuno era nei boschi per caso. Ma neppure erano lì per un’affinità elettiva con la battaglia contro il treno veloce.

Prendi il veneto Gianluca Ferrari, 32 anni. La vicina di casa, in un alloggio popolare di Marghera, lo inquadra così: «Un tipo taciturno, sembra pieno di segreti. Non si sa che lavoro faccia. Gira in canottiera e pantaloni a metà gamba». In verità, qualcosa di lui si sa. Arriva dall’area dei Disobbedienti, dalla galassia delle ex tute bianche di Luca Casarini, frequenta il centro sociale «Rivolta» di Marghera. Le ultime tre denunce, in ordine cronologico, possono rendere l’idea. 24 dicembre 2010: interruzione di pubblico servizio durante una manifestazione contro l’arrivo di Berlusconi a Venezia. 9 agosto 2010: violazione di sigilli e invasione di terreno durante un corteo contro il sindaco leghista di Treviso. 2 settembre 2009: tafferugli durante una manifestazione contro la Biennale.

So
no quattro trasversali della protesta. Per dire, Roberto Nadalini, 31 anni, era già stato in carcere. E dal carcere aveva scritto una lettera: «Sono detenuto per aver cercato di impedire, insieme ad alcuni compagni, una festa del gruppo fascista Forza Nuova, organizzata a Bologna il giorno 12 dicembre, anniversario della strage di Piazza Fontana. In quell’occasione, il nostro corteo è stato caricato dagli sbirri e si è difeso come meglio poteva». Poi, dopo una sterminato ragionamento - «il fascismo rappresenta non tanto un’ideologia definita, quanto una delle forme che assume lo Stato capitalista nella fase imperialista» - conclude: «Contro il sistema che ci uccide, ci affama e ci reprime. Morte al fascismo!».

Lui, Soru e Marta Bifani arrivano dal giro bolognese. L’area è quella anarco-insurrezionalista. Il riferimento è il centro sociale «Fuoriluogo». Il gruppo nato in una stamperia clandestina - è già al centro di un’inchiesta che ha portato all’accusa di associazione a delinquere. Il 25 maggio il giudice del riesame ha usato parole semplici: «Una struttura delinquenziale che otteneva i suoi interessi sempre mediante il ricorso alla forza diretta contro le persone o le cose». L’esordio sono dei volantini contro Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse. In un documento scrivono: «Ci sentiamo a nostro agio in questo luogo dove affilare le armi e affinare la critica, cose che non possono essere separate». Le armi e la critica. I bastoni e i cappucci. «1000 modi per sabotare il mondo», come libro di riferimento. Anche Marta Bifani era già stata perquisita nell’ambito di questa indagine. La figlia del professore, l’impiegata di Fidenza, l’animalista convinta, è finita con quelli che lanciavano le pietre. «Ad altri livelli delinquenziali, se uno avesse interrogato per i medesimi motivi i genitori di Hitler, Stalin, Pol Pot, Mao e simili, non avrebbero saputo quali spiegazioni addurre. Quindi la mia risposta sul perché - dice il professor Bifani - è questa: vattelapesca...».

3 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

L'affermazione del padre di Marta Bifani gli si potrebbe ritorcere contro.
Domanda: dov'era questo padre quando la figlia iniziava a diventare, come lui dice, 'idiota'? A scriver poesie?

Anonimo ha detto...

senza parole...articolo totalmente falso.il padre di marta non ha ,ai rilasciato questa intervista.lo dice lui espressamente....informatevi prima di pubblicare articoli del genere.
Matteo

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Matteo, ti sfugge un piccolo dettaglio: l'articolo lo ha scritto un giornalista de La Stampa, Niccolò Zancan, non io. Quindi, l'esortazione di informarsi (meglio) non la puoi fare a me, salvo che tu, se sei meridionale, adoperi il 'voi' al posto del 'lei'! ;-)