sabato 2 luglio 2011

Notizie da un buco nero

di Furio Colombo

Si chiamava New Journalism, nella New York degli anni Sessanta, un nuovo modo di scrivere che usava solo fatti e notizie vere, fino ai dettagli e solo un linguaggio letterario, con le sue fenditure, le sue coloriture, i suoi arresti e accelerazioni improvvise, la discesa nei pensieri e la dilatazione e contrazione del tempo, il conscio e l'inconscio narrati come da un inviato nel dentro della esistenze che scorrono nel racconto, ma mai l'invenzione. I due grandi nomi del tempo sono stati Tom Wolfe e Guy Talese. Memorabile, di Tom Wolfe, la grande prova politica del nuovo linguaggio: il celebre pomeriggio trascorso nella lussuosa casa di Leonard Bernstein, in Park Avenue, da agiate signore di Manhattan assieme ai i leader delle Pantere Nere, venute a spiegare la rivoluzione.

È l'occasione in cui è nata l'amicizia con Wolfe e la scoperta che il "nuovo giornalismo" si fondava su due ingredienti, la scrupolosa narrazione dei fatti, ma anche un distacco, una posizione eccentrica del narratore, a cui giovava una misura di umorismo. È in quel luogo e in quel punto che è nata l'espressione radical chic che ha segnato la storia sociale, prima in America e poi nel mondo.

Credo che sarà da ricordare, adesso, in Italia, la prova di "nuovo giornalismo" che offre Walter Veltroni nel suo nuovo libro L'inizio del buio (Rizzoli, 18 euro). Propongo tre ragioni. In questo libro Veltroni si sdoppia dal personaggio politico, è scrittore in senso pieno e non basterà il sarcasmo che tipicamente raggiunge i protagonisti della politica a sminuire il senso e il peso del suo lavoro letterario. In questo libro l'autore entra con forza e competenza nel nuovo giornalismo, ma stabilisce il punto di osservazione sul lato doloroso e oscuro delle vicende narrate, stabilendo un modo completamente nuovo di usare uno strumento narrativo già consolidato dalla parte del distacco ironico.

Ma L'inizio del buio cambia anche la dislocazione dell'autore. Chi scrive definisce un suo luogo di osservazione che è diverso nel tempo, è lontano nella percezione e nella responsabilità degli eventi, ma è vicinissimo, quasi a ridosso, di ciò che accade.

E ciò si realizza non come molti potrebbero desumere dalla conoscenza del cliché di Veltroni politico, ovvero buona volontà e buone intenzioni. Il Veltroni scrittore, che qui chiede – e io credo meriti – piena attenzione, vede e indica, accanto alle vittime (il bambino di Vermicino, il fratello del terrorista) il buco nero della tragedia che sta per compiersi e che non è il fato, non è il destino, non è neppure l’inevitabile. È ciò che esseri umani sanno e fanno, credendo comunque che sia necessario, perché una cecità o l'altra impediscono in quel momento di vedere l'errore. È bene prestare attenzione al modo – tempo, spazio, relazione – in cui l'autore sceglie di dislocare se stesso, mentre gli eventi accadono. Non è dio, non è uno che, non appartiene in nessun istante della narrazione, al senno di poi. Ciò che accade, accade in tempo reale. E l'autore, benché porti su di sé il peso della vicenda conosciuta e della tragica fine di entrambe le storie che narra, non permette che la fine conosciuta e tragica delle storie prenda il sopravvento. Lo vive con i suoi lettori in una strana "diretta" che attraversa il tempo e fa stare col cuore in gola, come se tutto accadesse adesso, come se l'esito inevitabile non si fosse ancora compiuto. Manca del tutto il doppio distacco del "non sono io" e "io non c'ero". Manca del tutto il "giudizio della Storia". Lettori, autore e personaggi delle vicende sono sullo stesso piano perché prevale sulla visione delle idee e sulla coscienza del tempo e dell'irreversibile evento, l’identificazione – o meglio un vivere insieme e accanto – con "i prescelti". È una doppia storia di Abramo e Isacco in cui l'Angelo non arriva e non ferma il colpo mortale, l'adempiersi del sacrificio, per quanto inutile. È qui che il buco nero esercita tutta la sua forza potente, misteriosa e tragica. Una sorta di rivelazione a rovescio. Non potrai mai più dire che "a tutto c'è rimedio". Puoi dubitare di tutto, ma non che esista la zona misteriosa del male e che ti respiri accanto. La risposta del libro di Veltroni è allo stesso tempo tipica del "nuovo giornalismo" e completamente originale.

L'originalità è nella tecnica del doppio racconto. C'è il racconto documentario dell’evento, montato in modo che le sequenze che riguardano Alfredino, del pozzo di Vermicino, si alternino con l'altra storia straziante e assurda e altrettanto rigorosamente documentata, di Roberto Peci. Una notevole qualità di fiction segna l'intreccio dei due percorsi, una qualità così intensa che prevale di gran lunga sul già saputo. Accanto sosta lo scrittore, lontano dal fatto e vicino al lettore. Quel suo rivedere a distanza dallo stesso punto di vista di chi legge crea un legame che non è del politico e non è della guida, e annulla l'esclamazione del "che tempi!". Invece tutto ti arriva in tempo reale, un "allora" e un "adesso" che sono come i tempi di una sonata. Il passato è sempre in scena, il narratore è sempre in scena, i lettori sono sempre in scena, formando una comunità inedita che è il vero tratto originale di un libro non facilmente dimenticabile.

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