venerdì 22 luglio 2011

Olocausto, gli eroi rimossi o dimenticati







Mentre ancora sono vive le emozioni della giornata della memoria, dedicata alle vittime dell’Olocausto, giungono due inquietanti notizie. Una gravissima: la diffusione sul web dell’infame “black list” con i nomi di 162 professori ebrei che insegnano nelle università italiane. L’altra desolante: le rivelazioni sugli ultimi anni della vita di Oskar Schindler, l’imprenditore tedesco che salvò dalla camera a gas 1200 ebrei e che, malato e inseguito dai creditori, fu costretto a sopravvivere con l’aiuto di chi, grazie a lui, si sottrasse allo sterminio.

LA VICENDA DI SCHINDLER - Schindler è morto nel ’74, a soli 66 anni, e quindi non ha potuto conoscere la fama postuma che gli è venuta dal film di Spielberg. Ma la sua vicenda personale e umana non è purtroppo dissimile da quella di altri “Giusti delle nazioni”, celebrati da Israele e dalle Comunità ebraiche di tutto il mondo, e spesso dimenticati, o rimossi, in patria. E’ un destino amaro e umiliante quello che accomuna questi eroi semisconosciuti, che soltanto scrittori, registi e ricercatori, quasi tutti ebrei, sono riusciti a salvare dalle cantine della memoria. La rimozione e l’indifferenza si sono consumate sia nelle grandi democrazie occidentali, sia nelle dittature comuniste dell’ex impero sovietico.

WALLENBERG - Di Raul Wallenberg, il diplomatico svedese che salvò in Ungheria decine di migliaia di ebrei (100.000, secondo gli studiosi) non si sa più nulla. La sua vita di borghese indisciplinato, che passava le notti a compilare permessi falsi, che poi distribuiva al mattino, sui treni della morte, dopo aver insultato in tedesco, davanti alla SS, i beneficiari dei documenti («Invece di poltrire, branco di debosciati, dovevate venire in ambasciata a ritirarli»), faceva a pugni con la retorica dell’Urss, che attribuiva alla resistenza comunista contro Hitler il merito del salvataggio degli ebrei. Quasi sicuramente, Wallenberg è morto in Russia.

PESHEV - Per lo stesso motivo, la propaganda bulgara, cioè nel Paese che fu il più filo-sovietico dei satelliti dell’Urss, impedì a Dimitar Peshev di essere onorato come meritava. Peshev, che negli anni ’40 fu vicepresidente del parlamento di Sofia e ministro della Giustizia, riuscì a salvare tutti -Tutti!- gli ebrei bulgari. Era un viveur borghese, affascinato dal nazismo, che però riuscì a sottrarsi a quello che è stato definito il “depistaggio morale della coscienza”. Fu un evento privato, la sofferenza di un amico ebreo perseguitato, a fargli comprendere la tragedia che si stava consumando, e a spingerlo ad agire, rischiando tutto: la carriera, e persino la vita. Anche la storia di Peshev, morto nel ’73 nell’anonimato, è stata sepolta per decenni negli archivi della Bulgaria comunista. A salvarla dall’oblio è stato il libro “L’uomo che fermò Hitler” dello scrittore italiano Gabriele Nissim, che gli ha restituito l’onore che meritava.

PERLASCA E ZAMBONI - Anche l’Italia non si sottrae alla distrazione e ai vuoti di memoria. Giorgio Perlasca, strappato all’anonimato grazie a un libro e a un film che ne ha raccontato le eroiche imprese, è morto a Padova, in ristrettezze e in solitudine, senza neppure aver goduto di una pensione. Poco meglio è andata al console generale a Salonicco Guelfo Zamboni, funzionario fascista che, nel 1943, salvò dalla deportazione 280 ebrei, e non soltanto coloro che appartenevano alla comunità italiana. Israele lo ha inserito fra i “Giusti delle nazioni”, ma la sua storia è affiorata di recente grazie ad un libro, che le Comunità ebraiche greche hanno scelto come guida per dedicare a quell’italiano “Giusto” la cerimonia ufficiale nella giornata della memoria. Ma anche la figura di Zamboni, come quelle degli altri eroi di questa nobile classifica, contrapposta alla “banalità del male”, magistralmente evocata e descritta da Hanna Arendt, inviata del New Yorker durante il processo Eichmann, provoca qualche fastidio. L’esempio di chi ha osato opporsi all’ineluttabile scuote ancora oggi l’immensa folla della mediocrità. Accettare la grandezza di questi eroi significa infatti ammettere che l’ottusa obbedienza può essere contrastata. Che qualcuno ci è riuscito. Anche se è costato e costerà sempre molto.

Antonio Ferrari

aferrari@corriere.it

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