lunedì 25 luglio 2011

Quando dalemiano fa rima con fantozziano

IL BRACCIO DESTRO DEL LÌDER MAXIMO SI SMARCA DOPO AVER INFILATO UNA GAFFE DIETRO L’ALTRA

di Fabrizio d’Esposito

Il tardodalemismo è condannato a tramontare come un’involontaria caricatura fantozziana? Dev’essere infatti la classica nuvoletta persecutoria a sospingere verso questo tragicomico destino il pugliese Nicola Latorre, definito da chi parla male di lui come “l’occhio, l’orecchio e il braccio di Massimo D’Alema per i lavori difficili”. Nella grigia terra di mezzo dell’inciucio, lambita da sospetti e rischi, l’ultimo lothar rimasto accanto al capo è un politico doppio e diviso allo stesso tempo: Uomo Nero o Capro Espiatorio alla Malaussène? Oppure entrambi. Per la serie: i gemelli Latorre. Il film di questi giorni semina indizi a iosa. A partire dall’intricata vicenda del voto al Senato sugli arresti domiciliari ad Alberto Tedesco, corregionale di Latorre e già suo compagno di corrente. La sequenza è micidiale: Latorre che chiede il voto in contemporanea a quello di Papa alla Camera; La-torre che non riesce a votare per un guasto tecnico; Tedesco che viene salvato dallo scrutinio segreto; gli antidalemiani del Pd (e non solo), infine, che denunciano un presunto patto segreto tra La-torre (e chi se no?) e Quagliariello del Pdl – negato da entrambi – per uno “scambio di prigionieri”, alla fine riuscito solo a metà. È l’identikit dell’Uomo Nero dalemiano . Ma la malasuerte quando ci si mette è spietata e così ieri si è appreso che tra le intercettazioni dell’inchiesta di Trani sul regime tv del Cavaliere c’è una conversazione che riguarda il povero La-torre (e chi se no?). A telefonare è Paolino Bonaiuti, instancabile portavoce del premier che smista ospiti, impone temi, suggerisce opinioni a tg e trasmissioni amiche. Bonaiuti parla con Augusto Minzolini, il direttore-maggiordomo del Tg1, e gli raccomanda di non trattare male il senatore Nicola Latorre (e chi se no?) perché è il riferimento dei dalemiani in Viale Mazzini. Forse un consiglio superfluo, visto che nel centrodestra sono in tanti a parlare bene di Latorre (e chi se no?). Tipo Marcello Dell’Utri che stima, contraccambiato, l’ambasciatore del Lìder Massimo. Questo uno antico scambio di convenevoli tra i due. Dell’Utri: “Latorre è persona perbene, illuminata e pacata. Insomma, uno che ragiona. Non è un fanatico”. Latorre: “La mia impressione su Dell’Utri è estremamente positiva: penso sia una persona pacata, sensibile e di spessore”.

Rimaniamo però alla Rai, autentica maledizione per il Capro Espiatorio dalemiano. La storia, stavolta, è dell’autunno di tre anni fa. Riccardo Villari del Pd viene eletto presidente della Vigilanza contro la volontà del suo partito. A sceglierlo e votarlo è il centro-destra. Una mattina, a “La7”, c’è un dibattito tv sulla questione. In studio: Massimo Donadi dell’Idv, Latorre (e chi se no?) e Italo Bocchino, allora ancora nel Pdl. Donadi attacca Bocchino, che ha lo sguardo smarrito. Latorre invece freme e non si trattiene: sfila un quotidiano a Bocchino, prende la penna e scrive sul bordo: “Io non posso dirlo. Ma il presidente della Corte? Pecorella?”. Bocchino si rianima, la luce ritorna nei suoi occhi e stoppa Donadi, alzando la voce: “Voi dell’opposizione avete fatto la stessa cosa con Pecorella. Non l’avete voluto alla Consulta e abbiamo scelto Frigo”. Il soccorso dalemiano a Bocchino scatena altri sospetti, come oggi con Tedesco. Anche perché Latorre (e chi se no?) difende Villari: “Non è un trasformista”. Alla fine Latorre è costretto a soccombere: si dimette dalla Vigilanza e al suo posto entra Sergio Zavoli che viene eletto presidente.

La casistica della nuvoletta fantozziana che perseguita Latorre (e chi se no?) è lunga, ma la citazione del “facci sognare” nella mitica estate dei furbetti del quartierino è obbligatoria. Latorre (e chi se no?) è al telefono con Giovanni Consorte aspirante scalatore della Bnl. Poi Latorre passa il cellulare a D’Alema, che dice: “Facci sognare, vai”. Sostenitore della destra migliorista nel vecchio Pci, Latorre si è convertito al riformismo dalemiano a metà degli anni novanta. Tra i lothar del Generale Massimo si guadagna subito il soprannome di “Rumor”, nel senso di Mariano, il democristiano veneto che inventò il doro-teismo. Latorre è un simpaticissimo neodoroteo per la sua cieca devozione nella mediazione a tutto campo, senza pregiudizi. Un giorno a tavola, era il 2008, consegnò a un veltroniano una sintesi mirabile delle sue manovre di allora: “Adesso noi vi scavalchiamo a sinistra parlando con Vendola ma poi saremo pronti a scavalcarvi a destra interloquendo con Casini”. La vera sfortuna di Latorre, oggi, è però un’altra. Da qualche mese ha lasciato il campo dalemiano ma continua a fare il Capro Espiatorio in nome e per conto del capo. Un destino davvero cinico si sta accanendo contro di lui. Latorre secondo i suoi critici continua a essere l’Uomo Nero degli inciuci sottobanco, ma su un punto è meglio essere chiari: il povero senatore di Fasano non è più dalemiano. È questa è anche una notizia.

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