mercoledì 20 luglio 2011

Se l’Europa molla la Grecia, l’Italia rischia

di Marco Onado

Gli stress test sulle banche europee pubblicati venerdì hanno lanciato un segnale forte e chiaro: se non si stende al più presto un cordone sanitario intorno a Grecia, Irlanda e Portogallo, la crisi si allargherà all’intero continente con conseguenze drammatiche per l’euro e l’intero sistema bancario, compreso quello di Germania e Regno Unito, non a caso oggetto da lunedì di forti pressioni ribassiste.

IL TEST è rigoroso, molto di più di quello dello scorso anno, per almeno tre motivi. Perché si fonda su ipotesi abbastanza pessimistiche dello scenario economico nel prossimo biennio. Perché è basato su una definizione di capitale bancario molto più restrittiva (e sensata) di quella adottata da certe autorità di vigilanza e dunque molto più idonea a fornire una misura della reale robustezza patrimoniale di ogni banca. Ma soprattutto perché fornisce un’informazione dettagliata e senza precedenti sui rischi effettivi di ciascuna banca, disaggregati per Paese, categoria di debitori, scadenze.

A QUESTO PUNTO non hanno senso le critiche di coloro che avrebbero voluto ipotesi molto più restrittive sul valore dei crediti posseduti dalle banche. L’autorità europea ha infatti fornito al mercato una specie di scatola di montaggio in cui ciascuno può fare le simulazioni che ritiene più opportune, soprattutto per quanto riguarda lo spinoso problema del debito dei paesi da tempo nell’occhio del ciclone (Grecia, Irlanda e Portogallo) e quelli presi di mira di recente come Italia e Spagna.

Seguendo questa strada, emergono tre importanti risultati.

PRIMO: l’esposizione delle banche nei confronti dei governi di Grecia, Irlanda e Portogallo è di 132 miliardi, per almeno la metà concentrati nei rispettivi sistemi bancari.

SECONDO: l’esposizione verso i titoli pubblici di Spagna e Italia è un multiplo di quella cifra: rispettivamente, 289 e 265 miliardi ed è molto più ramificata all’intero continente.

TERZO: l’esposizione complessiva, che include cioè anche i crediti interbancari, fa salire le cifre precedenti di 75 miliardi per i primi tre paesi e oltre 500 per Spagna e Italia. Dunque, non solo l’esposizione complessiva verso Spagna e Italia supera di gran lunga il trilione di euro (mille miliardi), ma è anche costituita da una rete così estesa di interconnessioni da rendere estremamente probabile che la crisi si propaghi come in un’epidemia senza controllo.

Tutto questo significa una cosa sola. L’Europa può permettersi un default ragionato e selettivo dei tre paesi “minori”, che hanno oggettivamente un debito insostenibile, perché le perdite per le banche sarebbero tutto sommato sostenibili. Goldman Sachs stima che una riduzione significativa del valore del debito (60 per cento per la Grecia; 40 per cento per Portogallo e l’Irlanda) richiederebbe di immettere nel sistema bancario europeo circa 25 miliardi di euro per continuare a rispettare gli attuali parametri di patrimonio. È un puro esercizio teorico, ma che dimostra che l’effetto è tutto sommato tollerabile: si tratta di meno di un quarto dell’intervento effettuato nei confronti della sola Grecia.

Ma è anche chiaro quello che l’Europa non può permettersi: il benché minimo sospetto che anche Spagna e Italia non siano in grado di ripagare il loro debito, perché questo significherebbe mettere a rischio oltre un trilione di attività detenuta dalle banche del continente. La conseguenza sarebbe l’implosione non solo del sistema finanziario europeo, ma dell’intera costruzione monetaria e politica. E non può neppure permettersi che l’attuale situazione di incertezza permanga, perché questo costringe i due paesi a pagare tassi di interesse esorbitanti e le loro banche ad indebitarsi sui mercati a condizioni che comportano una riduzione permanente dei loro profitti, dunque della loro capacità di attrarre capitali.

In altre parole, il grande sforzo di trasparenza compiuto dalla nuova autorità europea inchioda i governi alle proprie responsabilità, perché mette in evidenza che è possibile una soluzione negoziata fra creditori e debitori (come avviene in ogni crisi finanziaria, privata o sovrana che sia) purché si possa ripartire con un volume di debiti ragionevole, che elimini la possibilità di contagio ai grandi paesi dell’area dell’euro. Come in tutte le crisi finanziarie della storia, soluzioni concordate e credibili per i tre paesi piccoli possono creare una barriera protettiva, cioè creare un vero e proprio cordone sanitario e ristabilire il principio elementare che il debito sovrano dei paesi sviluppati è poco rischioso, come si insegna nei manuali di finanza.

FINORA, i governi europei si sono limitati a prendere tempo, ma gli aiuti concessi sono serviti solo a rimborsare i debiti in scadenza: una scelta che nell’immediato tutela gli interessi delle banche creditrici e che può essere presentata agli elettori come giustamente severa nei confronti di paesi che hanno vissuto al di sopra dei propri mezzi; la parola d’ordine deve essere, come ai tempi della contestazione studentesca “pagherete caro, pagherete tutto”.

Ma si tratta come allora di una vuota formula. Occorre che a partire dalla riunione di giovedì dell’Eurozona si comincino a valutare piani concreti e credibili di soluzione del debito dei tre paesi. La linea che chiede un rimborso completo sempre più improbabile non è ulteriormente praticabile. Anzi, richiama sempre più sinistramente l’ottusa determinazione con cui i paesi vincitori della prima guerra mondiale imposero alla Germania pesanti e impossibili riparazioni, facendo crollare la Repubblica di Weimar e gettando i tedeschi nelle braccia di Hitler. Il paragone è forse troppo pessimista, ma come dicono gli inglesi, la storia non si ripete, ma spesso è scritta in rima.

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