giovedì 21 luglio 2011

Tedesco non si tocca Al Senato finisce in rissa

IL PD DICE SÌ ALL’ARRESTO MA VINCE LA SCENEGGIATA PADANA

di Fabrizio d’Esposito

La Lega bifronte di Umberto Bossi salva il senatore Alberto Tedesco, già Pd oggi nel gruppo misto, dagli arresti domiciliari. La sceneggiata padana è stata preparata in modo accurato. Al punto che dai vertici del Pd ammettono amaramente: “Sono stati davvero bravi”. A Palazzo Madama, alle quattro e mezzo del pomeriggio non c’è la tensione che si palpa a Montecitorio, dove si vota per le manette ad Alfonso Papa, piquattrista del Pdl. Si comincia con mezz’ora più tardi, rispetto alla Camera: un dettaglio fondamentale per attendere l’esito su Papa e poi esprimersi su Tedesco. Questo il timing: alle 18.43 i deputati dicono sì all’arresto del loro collega berlusconiano, alle 18.50 i senatori bocciano l’autorizzazione per l’ex assessore alla Sanità della Puglia, accusato di concussione. Risultato: 157 no ai domiciliari (pulsante rosso), 127 sì (verde), 11 astenuti (bianco). Venticinque gli assenti.

In base alle dichiarazioni di voto, il sì poteva contare sui gruppi di Pd, Italia dei Valori, centristi e Lega. Una maggioranza netta a favore dell’arresto. Invece il no ha vinto con 24 voti di scarto, tenendo presente che nel Pdl i presenti sono stati 118 su 131.

Che cosa è successo? Semplice. La Lega, dopo aver incassato l’arresto di Papa, ha messo in pratica il piano già pronto da martedì sera: votare nel segreto dell’urna contro i domiciliari di Tedesco per poi incolpare il Pd di averlo salvato.

Vari gli indizi. Il primo arriva a caldo. L’aula ha appena votato e dai banchi del Carroccio si tenta di far partire un coro contro i colleghi di sinistra. È Rosi Mauro, una delle zarina del cerchio magico del Senatùr, a intonarlo. Grida un paio di volte: “Vergogna”. Ma non ha fortuna. Poca convinzione. Altra scena, qualche minuto più tardi, che tradisce il nervosismo dei leghisti. Alberto Tedesco è in Transatlantico, circondato dai giornalisti. Ripete che non si dimetterà. Il senatore Cesarino Monti buca il muro dei cronisti e sbatte spalle al muro il senatore salvato: “Tu sei un reo confesso, se sei un uomo dimettiti”.

È l’ultimo atto della sceneggiata, iniziata più di tre ore prima.

AD APRIRE la seduta pomeridiana non è il presidente Renato Schifani, ma uno dei vice: Vannino Chiti del Pd. Il primo a parlare è Luigi Li Gotti dell’Idv, relatore della Giunta per le autorizzazioni. Tedesco è seduto nella penultima fila in alto all’estrema sinistra. Tesissimo. Dondola gambe e mani. Inforca gli occhiali, poi li toglie, infine li mette di nuovo per rileggere un testo scritto a mano. Li Gotti non è un relatore vero e proprio. In realtà la giunta, dopo aver respinto il no all’arresto proposto dal Pdl, ha scelto di non decidere rimettendo tutto all’aula. Il governo è rappresentato da Calderoli, Giovanardi, Nitto Palma e altri sottosegretari. Li Gotti parla, nel frattempo arriva Schifani. I senatori sono distratti, il brusìo è fortissimo. Il capogruppo del Pdl Maurizio Gasparri è in piedi quando gli si avvicina il suo omologo della Lega, Federico Bricolo, altro pilastro del cerchio magico anti-maronita. I due escono e si appartano per venti minuti circa. Gasparri assicura Bricolo che il Pdl chiederà il voto segreto. Il gioco delle parti può andare avanti. Dopo Li Gotti, tocca a Marcello Pera che attacca la Giunta per non aver deciso. Alle 17.13 il rumore di fondo sparisce. Si alza in piedi Tedesco per il suo intervento annunciato: chiederà all’aula di votare a favore del suo arresto. Chiede scusa per aver costretto il Senato a occuparsi di lui “in coda ai lavori prima delle ferie estive”. Respinge il sospetto su uno “scambio” di favori con Papa, si dice innocente, rinuncia al fumus persecutionis e dopo dieci minuti di discorso chiede all’aula, “sommessamente ma fermamente”, di “votare affermativamente e all’unanimità alla domanda dei giudici di Bari”. Di fronte a lui, nei banchi del Pdl, c’è chi si copre il viso con le mani, chi grida: “Dimissioni”. Lui va avanti e conclude con la voce incrinata dall’emozione, citando, da ex socialista, Pietro Nenni: “Si faccia quel che si deve, accada quel che può”.

A questo punto, toccherebbe alle dichiarazioni di voto. Ma il Pdl fa melina e manda avanti un po’ di senatori con questioni procedurali o di merito sulle accuse a Tedesco. Tutto tempo guadagnato, aspettando Papa alla Camera. Alle 17.46, Schifani dichiara chiusa la discussione generale. Parte Cardiello della Coesione nazionale (l’equivalente dei “Responsabili” a Montecitorio), poi Li Gotti dell’Idv e Serra per l’Udc. Alle sei di pomeriggio è il turno di Sandro Mazzatorta della Lega. Durissimo con il centrosinistra pugliese: “I furbetti del quartierino della Puglia hanno deciso però di salvare Vendola”. Tira in ballo anche la Finocchiaro, che reagisce chiedendo il giurì d’onore. Conclusione: “Votiamo sì all’arresto”. Si alza la Finocchiaro per il sì del Pd. Difende la “dignità” di Tedesco che il Pdl non può comprendere perché non riesce ad andare “più oltre”, come direbbe Totò. La frase chiave è questa: “Dietro il vento dell’antipolitica c’è una richiesta vera. Noi non abbiamo paura, né di rinchiuderci, né di assecondare il vento”.

IL GIRO viene concluso da Gaetano Quagliariello del Pdl, che chiede il voto segreto per “difendere le istituzioni” dall’antipolitica. Poi di nuovo Pera che accusa la Finocchiaro di essere “la Vishinsky in gonnella che ha convinto Tedesco a farsi arrestare”. Si vota, finalmente. Alle sette di sera è tutto finito. Gramazio, postfascista del Pdl, tenta la rissa. Tedesco dice che il “voto fa male al Senato e al Paese”. Ma non si dimette, come chiedono numerosi gruppi sul web. E Gasparri confessa: “Sì la Lega ha votato contro l’arresto”.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Una volta si diceva "Il migliore di loro ha la rogna!