lunedì 25 luglio 2011

Teste d’uovo e manovra

di Michele Boldrin

In Italia, come sappiamo, vanno di moda i complotti. Anche io ne ho uno da svelare: sembra che, decadi orsono, una loggia di rito confuso, oggi nota con il codice 100, abbia ipnotizzato le teste d’uovo economiche della sinistra italiana. Da allora queste sembrano avere l’unico scopo di far digerire dannose politiche reazionarie al popolo lavoratore. L’operazione avviene sempre in tre fasi.

ANZITUTTO, le teste d’uovo producono analisi incoerenti e prive di ogni base empirica. Da tali analisi si deducono proposte di politica economica o vuote o impossibili da realizzarsi. Alla stretta dei fatti, non avendo nulla di concreto da proporre, ci si trova “costretti” ad accettare le ricette degli altri.

Il sordido complotto ha sortito i suoi migliori effetti negli ultimi anni. Ogni volta che il cervello economico del PdL (con buona pace di Renato Brunetta ed Antonio Martino trattasi, dal 1994, di Giulio Tremonti) scende un ulteriore scalino della scala che porta al pantano peronista, qualcuno attiva i cervelli economici del Pd i quali trovano modo di fargli fare bella figura mentre egli danneggia l’Italia che lavora. È appena successo di nuovo in occasione della cosiddetta manovra.

Da tre anni a questa parte e sino all’altro giorno, Giulio Tremonti è andato raccontando agli italiani di avere messo i conti in sicurezza e, con essi, i loro risparmi. Tutto sotto controllo, ne usciremo meglio degli altri. Balle, come ripetutamente documentato, ma le teste d’uovo del Pd o non leggono o non intendono. Loro gli hanno creduto e non hanno mai detto: occorre tagliare la spesa pubblica, occorre vendere le partecipazioni azionarie dello stato, occorre porre sotto controllo la dinamica delle pensioni e dei salari della Pubblica amministrazione centrale, occorre tagliare drasticamente i costi della politica, eccetera. Al contrario: è dal 2008 che protestano perchè l’Italia si è dedicata meno di altri a sprecare risorse nelle cosiddette “politiche anticicliche”. Erano convinti, insomma, che i conti fossero in sicurezza e che ci si potesse dar dentro con la spesa. A dire il vero Tremonti i soldi li ha gettati pure lui, ma lo ha fatto astutamente e le teste d’uovo del Pd non se ne sono rese conto perchè, apparentemente, non solo o non leggono o non sanno leggere ma non fan nemmeno di conto o sbagliano a farli, i conti.

GIUSTO nel marzo di quest’anno - mentre Tremonti invocava il protezionismo dello stracchino nel tentativo di far arraffare dalle “mani pubbliche” (le sue e quelle di Milanese) un altro pezzo di economia italiana - invece di spiegare al paese che tale follia ci avrebbe fatto solo del male (graziaddio, ci ha pensato il maledetto mercato a fermarlo) i testoni del Pd hanno prodotto un documento intitolato “Europa-Italia, un progetto alternativo per la crescita”. È lungo 93 pagine e, se ora non se ne vergognano, forse lo trovate ancora sul sito del partito. Cosa sosteneva? Ribolliva per l’ennesima volta un “keynesismo cialtrone” il cui fondamento analitico è l’assurdità secondo cui è dalla sempre maggiore spesa pubblica che viene la crescita economica sostenuta, non dai guadagni di produttività delle imprese fra loro in concorrenza. Da una teoria incoerente e rigettata dai dati che, al solito, le teste d’uovo del Pd ignorano – quali paesi europei crescono di nuovo come saette? – non potevano non venire proposte irrealizzabili ed in conflitto con le necessità del momento. Cosa proponevano, alla fine, le teste d’uovo del Pd? Più spesa pubblica sia in Italia che in Europa, finanziata da maggiori emissioni di debito pubblico. Quando, in giugno, le tensioni sul debito pubblico italiano (quello che Tremonti aveva messo in sicurezza) si sono palesate le nostre teste d’uovo han spalancato la bocca e detto “Orca l’oca!” Poi son stati zitti lasciando fare tutto a Giulio Tremonti, che ha fatto quel che sappiamo.

D’ALTRA PARTE, come potevano avere qualcosa di rilevante da dire su che spesa pubblica tagliare coloro i quali avevan passato tre anni a teorizzare che occorreva spendere, forse meglio ma senz’altro di più? Come potevano suggerire tagli intelligenti e produttivi ai costi dell’apparato centrale dello stato e della politica coloro i quali avevano sostenuto che andavano “riqualificati”? Come potevano suggerire quali aziende vendere (Enel, Eni, Cassa DD.PP, Rai, Poste, eccetera) coloro i quali avevano sostenuto che questi obbrobri nazionali sono strumenti per la crescita economica? Come potevano uscirsene con una credibile proposta di riforma e riduzione della pressione fiscale sul reddito da lavoro coloro i quali pensano che l’Irap sia una tassa utile e che i problemi di bilancio pubblico si possano risolvere con la lotta all’evasione fiscale? Come potevano opporsi al bollo che massacra i risparmiatori coloro i quali si erano trastullati sino a poche settimane prima con le patrimoniali e le tasse sulle transazioni finanziarie?

Potrei continuare per mezz’ora, ma il punto è chiaro. Per poter avanzare proposte di politica economica credibili e vincenti occorre anzitutto conoscere quali siano i problemi reali del sistema economico. Occorre avere rispetto per i dati ed i fatti, che vanno analizzati con occhi scevri da pregiudizi e non sulla base di teorie tanto ideologiche quanto incoerenti. Occorre, in altre parole, avere la capacità politica ed intellettuale d’intendere cosa succeda nella realtà economica del paese e non nelle stanze in cui un’elite politica sconfitta continua a parlarsi addosso ed a proteggere il residuo di potere a cui è aggrappata. Le scellerate politiche economiche di Giulio Tremonti non le dobbiamo solo al signore in questione ed al suo capo. Le dobbiamo anche all’insipienza culturale delle teste d’uovo economiche del Pd ed all’inanità politica ed intellettuale delle elites politiche del medesimo partito.

Sarà inutile liberarsi degli uni se continueremo ad avere, come loro alternativa, gli altri.

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