giovedì 4 agosto 2011

“BASTA DEBITO” MA SOTTO C’È LA MANOVRA




Alla Camera Berlusconi parla in codice per rassicurare i mercati, ma entro fine anno arriverà un’altra stangata

di Stefano Feltri

Un’altra manovra, dopo quella da 48 miliardi appena approvata sembra inevitabile. Il discorso di Silvio Berlusconi di ieri pomeriggio, alla Camera, si riassume in una frase: “Sono necessari interventi che azzerino sostanzialmente il fabbisogno finanziario nell’ultima parte dell’anno”. Per sottolineare il passaggio decisivo Berlusconi stacca gli occhi dal foglio, smette per un attimo di parlare e guarda il ministro del Tesoro Giulio Tremonti al suo fianco.

Il gergo è tecnico, ma chi doveva capire ha capito. Si vedrà questa mattina se per i mercati è sufficiente. Per tradurre il senso politico servono un paio di passaggi. Il fabbisogno finanziario è la differenza tra quanti soldi lo Stato incassa e quanti ne spende. Se ne spende più di quanti ne incassa deve emettere titoli di debito pubblico. Il deficit è una cosa diversa, riguarda la competenza (cioè le spese che sono relative a un certo anno, anche se poi i soldi escono dalle casse pubbliche in seguito).

Pochi giorni fa il Tesoro ha comunicato che nei primi sette mesi del 2011 si è registrato complessivamente un fabbisogno di circa 39,6 miliardi, inferiore di circa 5 miliardi a quello dell'analogo periodo 2010. La promessa di Berlusconi è che entro fine anno non si avrà nessuno scostamento in negativo rispetto al 2010 sul fabbisogno, cioè non si creerà altro debito (qualcuno dice che, prudentemente, nei mesi scorsi Tremonti ha emesso più debito del necessario così ad agosto ha potuto annullare un’asta ad alto rischio). La parafrasi del messaggio berlusconiano – ispirato dalla Banca d’Italia e da Mario Draghi, sostiene qualcuno – è questa: cari mercati, voi mi dite che c’è un problema con il debito e io vi prometto che chiudo i rubinetti e non ne farò più, come faccio a raggiungere l’obiettivo sono affari miei.

E qui si arriva alla parte difficile.

PALAZZO CHIGI accredita la versione minimalista: basta stringere un po’ la cinghia, rinviare qualche pagamento al futuro, prendere tempo e aspettare che passi la bufera. Ma molti tra economisti ed esperti di bilancio pubblico sono concordi: la stretta sul fabbisogno senza una nuova manovra non ha senso, il governo sta solo creando le condizioni per costringersi ad approvare un nuovo intervento strutturale. Che significa altri tagli o forse una imposta patrimoniale. Nel discorso B. dà l’indizio: l’anticipo della delega fiscale. Anche qui è in codice: se si anticipa subito il taglio delle agevolazioni fiscali (leggi: aumento delle tasse per tutti o quasi) previsto per il 2013 e il 2014 si possono recuperare 25 miliardi. Guarda caso proprio la cifra che servirebbe al governo per rispettare senza patemi l’impegno a non emettere altro debito.

Basterà questa mossa a calmare la crisi di fiducia attorno al Paese ? Ieri lo spread, che misura quanto l’Italia è più rischiosa della Germania, ha sfiorato la soglia pericolosa del 4 per cento e Berlusconi ha rinviato il suo discorso dalle 15 alle 17 e 30, così da parlare dopo la chiusura delle Borse ed evitare di esporsi in diretta al loro verdetto che, comunque , arriverà questa mattina. “State ascoltando un imprenditore che ha tre aziende quotate in Borsa e sta tutti i giorni nella trincea finanziaria”, ha sottolineato ieri. Ed è stato uno dei pochi passaggi concreti di un discorso sobrio in cui Berlusconi ha preso atto della gravità della crisi con toni insolitamente consapevoli, ma senza rinunciare a slogan abituali come “la manovra è adeguata” o “la crisi non è italiana ma globale”. E non poteva mancare l’ottimistico “la nostra condizione è più favorevole di quella di gran parte dei Paesi avanzati”.

IL CAVALIERE insiste nella sua tesi: non è l’Italia che è fragile, sono i mercati finanziari che sbagliano a valutarla. A fianco della toppa finanziaria sul fabbisogno non c’è alcun annuncio di interventi strutturali. Né dal lato dei conti né da quello della crescita: dall’incontro di oggi con le parti sociali (sindacati, banche e imprese) non uscirà niente di concreto, solo l’impegno a portare avanti il vecchio progetto dello “statuto dei lavori”, che dovrebbe sostituire quello dei lavoratori. Segue promessa di ridurre i costi della politica tramite l’apposita commissione guidata dal presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, e la citazione di “24 misure per la crescita”, non meglio specificate, prese dal governo. Berlusconi promette che “tra due anni consegneremo agli italiani un Paese più forte e più sicuro di sé”.

MENTRE STA finendo di parlare, però, arriva la prima bocciatura pesante. L’amministratore delegato della Fiat e di Chrysler, Sergio Marchionne dice all’agenzia Ansa a margine di un convegno: “Sto con Giorgio Napolitano: è arrivato il momento della coesione. Non ci possiamo più permettere questa confusione. È necessario avere una leadership più forte che ridia credibilità al Paese”. Poi aggiunge “il mondo non capisce cosa accade in Italia e tutto ciò ci danneggia moltissimo. C'è chi ha compiuto anche scorrettezze nella sua vita quotidiana. In altri Paesi viene costretto a dimettersi immediatamente”. Il portavoce di Marchionne poi ha provato a correggere, a sottolineare che non c’era alcun riferimento a Berlusconi. Ma anche in questo caso il messaggio ai mercati è arrivato chiaro.

Nessun commento: