giovedì 4 agosto 2011

Inciucio nazionale, il no del Pd: “Siete su Marte”



BERSANI: NESSUNA COLLABORAZIONE AUTO BLU, LA LEGA CONTRO NAPOLITANO

di Fabrizio d’Esposito

Berlusconiani su Marte. Dieci applausi per trentuno minuti di un discorso a tratti surreale, marziano appunto, che due ore più tardi il finiano Italo Bocchino riassumerà così: “Wall Street non festeggerà per la modifica dei regolamenti parlamentari”. Alle sei e cinque della sera, Silvio Berlusconi finisce il suo attesissimo intervento sulla crisi, si siede e poi si alza per ringraziare con un inchino la maggioranza che applaude. Una scena da consumato piazzista, alla fine della carriera. E che è costretto ad ascoltare pure la sua orazione funebre, pronunciata da Pier Ferdinando Casini: “La fine del berlusconismo non è la fine di un uomo solo, ma di un’epoca e di un sistema. Quante analogie con il ‘92”. Il premier ascolta cupo in viso, ma non porta le mani verso il basso per il più classico dei gesti apotropaici. Impassibile. Ei fu siccome immobile.

IL CAVALIERE commissariato da Quirinale e Bankitalia, con la zavorra del Tremonti azzoppato, ricompare alla Camera e al Senato nell’ultimo giorno dei lavori parlamentari. La piazza di Montecitorio è blindata. Un deserto d’agosto. Il premier ritarda di due ore il suo intervento per aspettare la chiusura dei mercati. Entra in aula alle 17 e 34. Qualche secondo prima, un commesso ha aggiunto una poltrona al banco del governo per la neoministra Anna Maria Bernini. Il leghista Maroni, invece, la sedia se la carica da solo sulle spalle e si stringe tra La Russa e il guardasigilli Nitto Palma. B. è tra Frattini e Tremonti. Sono settimane che il centrodestra è lacerato e diviso tra i silenzi del premier e l’odio crescente per Tre-monti, tra i bossiani e i “maroniti” , ma il senso della foto di gruppo di ieri è che per il momento corrono tutti a chiudersi nel bunker. Unico assente, il leader della Lega Umberto Bossi. Ma il suo capogruppo alla Camera, Marco Reguzzoni, grida che non è possibile un governo diverso da quello di B. e che l’asse tra B. e Bossi è di ferro e non ha alternative. Poi va all’attacco del “governo del presidente”, nel senso di Colle: “Non è ammissibile che il presidente della Repubblica, che è uno solo, abbia a disposizione 40 auto blu”.

BERLUSCONI legge un discorso che non è suo e non sente suo, scritto e limato da troppe mani. Parla di un “sistema politico solido” e la Brambilla e Frattini lo guardano adoranti girati di lato. La sua è un’informativa didascalica che strappa applausi di circostanza, quasi forzati. L’opposizione rumoreggia un paio di volte e poi esplode quando B. ammette: “Nessuno nega la crisi”. Il premier, infastidito, alza lo sguardo dai fogli e reagisce: “State ascoltando un imprenditore che ha tre aziende in Borsa ed è in trincea ogni giorno. So di cosa parlo”. Politicamente sono due i messaggi che manda. Il primo: nessun passo indietro per governi tecnici o di unità nazionale o altro ancora: “Nel 2013 ci presenteremo agli italiani con la serena coscienza di chi ha fatto tutto il possibile. Nei venti mesi che ci separano dalle elezioni proporremo un’agenda per la crescita e lo sviluppo”. Il secondo: “Il governo non sarà sordo con l’opposizione. Raccolgo l’appello alla coesione nazionale di Napolitano”. È la proposta di un patto, ma l’opposizione non applaude, gelida. Poi finisce. Tra i ministri che sorridono di più e corrono a congratularsi c’è Maroni, ipotetico premier di un altro governo.

Dopo B., c’è la “prima” a Montecitorio del segretario politico del Pdl Angelino Alfano, indicato in questi giorni come il regista della congiura anti-tremontiana. Anche Alfano si allinea e chiama tutti nel bunker, scatenando un’ovazione da stadio: “Questo è l’unico governo legittimo. Non sono i mercati a scegliere i governi. Siamo contrari a fantomatici governi tecnici”. Ovviamente Maroni applaude, sempre più convinto e sorridente. Alfano conclude e scatta un’altra ovazione. Una in più del mentore Silvio. Molti vanno ad abbracciarlo. B. ride ma non batte le mani, forse per invidia. Tocca all’opposizione e si alza in piedi Bersani. Il segretario del Pd è un po’ spaesato e sembra davvero il suo imitatore Crozza. Il climax è quando si lancia in un’invettiva contro B. e Tremonti e tranne le parole “servo encomio” nessuno capisce nulla, compresi premier e ministro che s’interrogano a vicenda: “Ma che ha detto?”. Bersani invoca una tregua, dichiara di essersi “impaurito” ad ascoltare Alfano e chiede a B. un passo indietro. “Una svolta politica”. La maggioranza è come se non ci fosse, ma l’opposizione le somiglia parecchio. Statiche nel pantano. Ed è lui a tirare in ballo Marte: “O ci sono io su Marte o lui”. E ancora: “O lui ha sbagliato discorso o ha sbagliato Parlamento”. Casini va oltre la tregua e propone un armistizio tra partiti. Un armistizio che però non è “un governo tecnico”.

ALLE 18 E 30 prende la parola il leghista Reguzzoni, che insiste sul ritiro dei militari italiani dalle missioni all’estero, e i deputati cominciano finalmente le vacanze. Molti si alzano e abbracciano i colleghi. È scattato il rompete le righe. Tremonti è ancora in aula e chiacchiera con il prodiano Levi. I pochi rimasti sono fortunati. Al termine di una giornata inutile c’è lo show di Antonio Di Pietro. Comincia con un “Caro Silvio” e tutti ridono, anche B.. “Caro Silvio ma lei ci fa o ci è? Lei mi sembra la nuova Alice nel paese delle meraviglie”. Un monologo scoppiettante: “Gli italiani devono disfarsi di lei. In Parlamento ci abbiamo provato ma lei si è comprato i responsabili. Eccoli lì davanti a lei, freschi scaldapoltrone”. Di Pietro non si fa illusioni su un’alternativa delle opposizioni. Si appella direttamente al Colle: “Sciolga le Camere come Ciampi”. Poi l’ultimo “Caro Silvio”, sul referendum per la legge elettorale: “Quando mi ci metto, tra me e lei vinco sempre io”. Un tocco terrestre a un mercoledì marziano.

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