PIERFRANCO PELLIZZETTI
Dall’alto dell’Olimpo Silvio Berlusconi, signore della folgore e padrone del tubo catodico, osservava l’avvicinarsi inesorabile del crepuscolo con aria imbronciata, passandosi di tanto in tanto la mano sulla cuffia di crine posticcio con cui simulava la natura umana per sedurre Leda e compagne in qualche terrena dépendance brianzola; dove aveva fatto piazzare una cornucopia modello Las Vegas, utile per stupire le fanciulle perdutamente innamorate scaricando dall’apposita feritoia banconote, bigiotteria dozzinale e souvenir vari. Ovviamente, fanciulle innamorate della cornucopia. Di che altro, se no?
Un ricordo ormai lontanissimo, perché tutti lo stavano abbandonando.
Non soltanto gli antichi adoratori di un tempo, che perfino nella diletta Milano erano andati a ingrossare le file di quelli che ormai non se la bevono più; indignati per la menzognera affermazione, ispirata dalle somme dimore olimpiche, che i locali magistrati sarebbero adepti del rito sacrilego del terrorismo brigatista rosso. Ora ci si era messo anche il messaggero degli dei di ultima generazione, Luigi Bisignani, rivelando la vera natura di una delle sue più fedeli Gorgoni, la rossa Brambilla: “mignotta come poche e brutta da far paura”. Sicché, a quel punto, l’inquietante creatura si era ritirata per la vergogna in un canile da cui non voleva più uscire, nonostante i latrati lancinanti degli animali terrorizzati da tale compagnia. Ma pure l’altra Gorgone, la mascelluta e zannuta Santanché, ottima come rapace da riporto delle prede uccise a colpi di rostro, aveva trovato rifugio in un antro inaccessibile; dove trascorreva il tempo in compagnia del teschio digrignante appartenuto allo zombi del giornalismo Alessandro Sallusti.
Per non parlare dell’infido Tremonti, il sosia di Tintin col ciuffetto, che il sovrano degli dei aveva incarnato nelle forme di ministro ricavandolo direttamente da un fumetto in lingua francese. E ora presumeva di giocare in proprio, in quanto anima rediviva di Colbert trasmigrata a Sondrio per uno scherzo della metempsicosi.
Intanto dall’Ade il dio Mercato aveva iniziato a scagliargli addosso tutte le sue furie: la speculazione di Borsa e il più grande mostro marino del mondo, il terribile Kraken australiano Rupert Murdoch; tra l’altro bisognoso di cambiare urgentemente aria, visto che quella del regno albionico gli era diventata molto poco salutare.
A questo punto neppure il suo sacerdote più devoto, l’oracolare Massimo D’Alema, poteva rimediare, magari con qualche rito propiziatorio tipo Bicamerale: precipitato come Icarus nel mare limaccioso delle mazzette, giaceva sepolto sotto le macerie del suo santuario Italianieuropei.
Allora il Divino Olimpico Silvio comprese che bisognava cambiare contesto religioso.
Chi, meglio del teutone Ratzinger, poteva servire all’uopo?
Attraversando lo spazio-tempo in un baleno, Berlusconi apparve all’ilare vecchietto biancovestito, ma lo trovò in preda a una crisi di panico: Paolo Flores d’Arcais aveva or ora svelato in un libello di colore violaceo (Gesù, l’invenzione del dio cristiano, ADD Editore) che il ponderoso tomo con cui il vicario di Cristo pretendeva di dare dimostrazione storica dell’esistenza dello stesso Cristo non era altro che una solenne boiata. E che – per di più – Ratzinger in materia di fenomeni religiosi non ne capiva un’acca. Tanto da indurlo a pensare che probabilmente aveva sbagliato mestiere. Forse sarebbe stato meglio rimanere nel natio paesello in quel di Germania, consacrandosi alla sua vera vocazione: quella di produrre würstel e insaccati vari, togliendosi finalmente la ridicola divisa da marinaretta con le gonne e le pantofole vermiglie d’ordinanza papale. Ispirata ai musical anni Quaranta di Cole Porter.
Ormai stava crollando tutto: l’Olimpo profanato dall’infame Prometeo De Benedetti, che si era portato via perfino la cassa del tesoro contenente 590milioni e rotti di monete d’oro da un euro; le naiadi di via Olgettina, risvegliate dall’incantesimo amoroso (visto che la magica cornucopia – bancomat era andata in frantumi), adesso mettevano in dubbio persino la tonicità dei suoi glutei (“culo molle”, la blasfemìa proferita da una di loro facendo confronti con quello di Bobo Vieri); l’aruspice di fiducia, il lecca veloce Augusto Minzolini trafitto a morte dagli ascolti dei televedenti e da una carta di credito piantata nel tallone come il pie’ veloce Achille…
Non c’era più né tempo né modo per cambiare il corso degli eventi, ma solo per uscire di scena alla grande, con un maestoso rombo di tempesta.
Si poteva terremotare definitivamente il regno italico dei sudditi ribelli, trasformandolo in un immenso cratere fumante; oppure lanciarsi imbottito di esplosivo contro l’eterno antagonista, il miscredente Giorgio Napolitano, alla stregua di un kamikaze suicida islamico (simulando un attentato della jihad che, raccontandola bene ad Allah, magari gli avrebbe assicurato l’entrata nel Paradiso dei mussulmani e la messa a disposizione di ben settantanove vergini. Altro che Lele Mora).
La prima ipotesi era di più facile realizzazione. E così fu.
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