domenica 7 agosto 2011

DI PIETRO: “NIENTE PATTI, SE NE DEVE ANDARE”


di Paola Zanca

“Saluta tutti, spero che l’amicizia sia rimasta. Ah, se Tonino mi avesse valorizzato...”. Il grido di dolore di Domenico Scilipoti arriva al telefono di Giacomo Porrovecchio mentre si trova a Montenero di Bisaccia, nella masseria molisana di Antonio Di Pietro per la consueta festa della trebbiatura.

Porrovecchio , consigliere provinciale a Catania ed ex braccio destro del Responsabile che ha abbandonato l’Italia dei Valori il 14 dicembre, il giorno della fiducia a Berlusconi, se lo ricorda nelle radio locali, quando “Mimmo” facevano a gara ad accaparrarselo, perchè con lui il picco d’ascolti era assicurato. E poi quando gli ha curato la cervicale con le pasticche di artiglio del diavolo e l’estratto naturale di salice bianco.

“Instancabile”, nessuno osa dire il contrario di Scilipoti. È che lui ha scelto la strada della “responsabilità” quella che qui, in mezzo ai girasoli, agli ulivi, al grano e alle barbabietole, nessuno vuol sentir nominare. “Quella parola è stata stuprata”, dice un giovane dipietrista venuto da Ravenna. Con lui sono arrivate qualche migliaio di persone, venute a festeggiare Tonino e famiglia nel loro feudo. Li hanno accolti con un lunghissimo buffet, dove ognuno ha portato qualcosa: dal caciocavallo di antipasto fino alla grappa al peperoncino per digerire.

È UN’USANZA antica, tramandata da suo padre: “Durante l’inverno si conservavano le salsicce, i sottaceti, le ventricine. Poi arrivavano i pomodori nuovi, c’erano da preparare nuove provviste. E si aprivano le porte, si mangiava quello che era rimasto dall’anno prima”.

Di Pietro guarda orgoglioso le terre che circondano la cascina bianca, i suoi quattro trattori.

Gli fanno i complimenti. Lui replica sornione: “Eh, mica solo Silvio”. Poi, quando dal palco - a fianco della moglie e dei tre figli, una fresca di laurea in Legge alla Bocconi - gli consiglieranno di mettere Silvio nella stalla appena rimessa a nuovo, lui scherza: “Veramente di maiale lassù ce n’è già uno, ed è buono”.

Come sono lontani i giorni in cui i fotografi della Camera lo immortalarono mentre chiacchierava con il premier. Ai seguaci non ha dato fastidio: “Sono colleghi - dice Gabriele Rossi, consigliere provinciale a Ravenna - Non mi preoccupa se Di Pietro parla in Parlamento con Berlusconi, mi preoccupa se Renzi va ad Arcore”.

Al leader invece dà fastidio la parola “collaborazione”: “Vuol dire che due persone si impegnano a far qualcosa di buono, lo dice il vocabolario. L’unico contributo che può dare Berlusconi è dimettersi”.

Continua a pensare che convocare le commissioni questa settimana sia “una buffonata”. La manovra va anticipata e modificata, dice Di Pietro, e “con tutti i decreti che ha fatto” ci sarebbe il modo per fare in fretta, per fare sul serio.

Da ieri mattina, nel cortile della masseria Di Pietro a Montenero di Bisaccia, è cominciata ufficialmente la raccolta firme per l’abolizione del porcellum. “L’accordo con i comitati è che noi ne raccogliamo 150 mila. Noi lo faremo, non so se gli altri ci arriveranno”.

Ce l’ha con il Pd (con una parte, “perché quando si parla di Pd bisogna sempre dire ‘una parte’”) che ha reagito con poco entusiasmo al nuovo referendum.

Anche ieri nell’opposizione si sono parlate lingue diverse: Vendola dice che “il centrosinistra avrebbe dovuto dire all’unisono che non ci sono formule magiche per salvare l’Italia, che non c'è possibile compromissione con settori di questa destra”.

Bersani torna a usare la parola “responsabilità” anche se aggiunge che il “problema politico” c’è.

Di Pietro chiude con una rivendicazione: è “l’Idv che detta i tempi della politica”. Poi guarda la folla che applaude, sorride ai flash delle decine di macchinette fotografiche, si gira verso gli stand. “E adesso, per favore, aprite che abbiamo fame”.

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