Nei giorni scorsi è morto un grande giornalista, mi sento di dire questo anche se non amo la retorica post mortem, ed è quanto ho pensato appena ho avuto notizia dell’infarto fatale che ha colpito Giuseppe D’Avanzo. Superato il primo momento di sgomento ho pensato alla portata di una tale perdita per tutti noi, non solo per Repubblica per cui ha prodotto grandi inchieste negli ultimi anni. Perché D’Avanzo era un giornalista di una razza rara. Ho pensato che altri D’Avanzo probabilmente non ce ne saranno, perché viviamo in un Paese che non vuole più produrre giornalismo di qualità. Non posso fare a meno di chiedermi chi è che oggi coltiva professionisti liberi, indipendenti, in grado di svolgere un servizio fondamentale in un paese democratico. Sicuramente non i nostri editori che vedono i giovani giornalisti come manodopera a basso costo da infilare in una macchina produttiva sempre più efficiente e a costi sempre più bassi.
Immediatamente dopo, ho pensato che sicuramente non potevo essere io, giornalista professionista che pure si considera capace. Ovviamente non sono tanto presuntuoso da pensare di poter andare a via Cristoforo Colombo, domani mattina, e mettermi a fare il lavoro di un collega così bravo ed esperto: è proprio che io, ma lascerei perdere me stesso e passerei al noi, quindi noi, generazione di giovani sotto i quarant’anni (giovani date le circostanze) non avremo mai, a parte rarissime eccezioni, la possibilità di lavorare come ha fatto, nella sua carriera, Giuseppe D’Avanzo.
Non credo che una generazione di “quasi” giovani giornalisti, sparsi tra uffici stampa, portali web dove scrivere dieci pezzi al giorno e cucine che si occupano solo di passare in pagina agenzie, potrà mai permettersi di fare giornalismo di “eccellenza e approfondimento” come Ezio Mauro ha giustamente definito il lavoro di D’Avanzo durante quei tristissimi funerali. Se va bene e abbiamo una famiglia che ci sostiene, al massimo andiamo per strada a fare i freelance, ma sotto lo schiaffo di un tariffario che valuta i nostri articoli 20 o 10 euro, senza nessuna garanzia per i periodi di disoccupazione, la copertura assicurativa o i contributi previdenziali. A dieci euro a pezzo non si fanno le inchieste sui rapimenti della CIA, di questo ne sono sicuro.
Nella biografia di Giuseppe D’Avanzo è scritto che “ha lavorato nella redazione napoletana di Paese Sera tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta”; quindi a meno di 26 anni era già dentro la redazione di un giornale importante, che aveva deciso di puntare su di lui, tanto è vero che avrebbe continuato a stare lì fino all’approdo a Repubblica, a metà degli ’80 (e anche lì era sui 32 anni). Oggi, sfido uno qualunque delle centinaia di colleghi precari sparsi in tutte le redazioni d’Italia a poter vantare un simile inizio di carriera.
Ezio Mauro ha anche detto che D’Avanzo è “insostituibile”. Sicuramente lo è. La cosa certa è che non potrà essere sostituito da un co.co.co full-time a 400 Euro al mese, cui spesso non è neanche riconosciuto un contratto giornalistico. La morte di D’Avanzo è un grave lutto dunque, ma il problema più grande è che dopo giornalisti come lui, in Italia resterà un vuoto.
Firmato un trentenne giornalista professionista
2 commenti:
E' chiaro che questo Governo ha portato avanti e concluso il diabolico disegno che aveva in mente. Nessun professionista, colto, serio e preparato, dovrà più emergere, in nessun ramo. Aspettare che crepino i pochi rimasti, quelli degli anni '70-"80appunto, e la potenza dei potenti sarà di padre in figlio, come ai bei tempi quando non c'erano pretese di diritti.
Da un pò di tempo comincio a credere che qualche entità superiore esista davvero, ma è malefico e indistruttibile.
PESSIMISTA!
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