domenica 28 agosto 2011

Il caso Bersani


LUCA TELESE

Insomma, Pierluigi Bersani, quando deve far filtrare quattro frasi sul caso Penati dice: “Non mi capacito“. Quando gli fanno qualche domanda sulla vicenda del suo braccio destro aggiunge che “la decisione sul fatto che Penati debba rinunciare o meno alla prescrizione spetta solo a lui“. Il segretario del Pd dice che le carte del processo saranno vagliate da una commissione del Pd (una commissione!) diretta da Luigi Berlinguer (Luigi Berlinguer!). E a chi gli chiede conto della famosa acquisizione delle azioni dell’autostrada Gavio Serravalle risponde con un ruggito: “Se qualcuno accosta il mio nome a quella vicenda querelo!“. Alla collega Sandra Amurri oppone un silenzio tombale (mentre un dirigente che é al suo fianco la invita carinamente ad andare ad Arcore) al collega Stefano Feltri, che la mattina gli chiedeva se almeno lui avrebbe rinunciato alla prescrizione per farsi giudicare, Bersani aveva detto: “Non lo so, non so giudicare“.

C’é qualcosa di sconcertante e di drammatico in questo combinato disposto di arroganza ed amnesie, di debolezza disarmante e protervia. Provo a mettermi nella testa di Bersani: io, se fossi lui, direi come tanti di voi, che Penati deve rinunciare alla prescrizione (che scatta solo grazie alle leggi salva-corrotti di Berlusconi). Oppure, con molto coraggio difenderei Penati, sempre se fossi convinto della sua innocenza. Convocherei una conferenza stampa, con Penati (se resta nel Pd deve spiegare qualcosa ai suoi militanti), e lo obbligherei a rispondere a tutte le domande dei giornalisti (non ha risposto a nessuna domanda fino ad oggi, solo fatto filtrare dichiarazioni e veline difensive). Darei l’esempio facendo altrettanto. Un leader che non ha nulla da nascondere, in tutto il mondo, fa così. Un leader che vuole governare, in tutto il mondo, fa così. Ma siccome siamo in Italia, e il caposcuola in materia giudiziaria é Silvio Berlusconi, la procedura che si adotta é il codice di Arcore:
1) Negare tutto
2) non rispondere a nulla
3) dire solo quello che conviene dire
4) insultare o minacciare chiunque non si accontenti del Codice.

Insomma, come scrive giustamente oggi Gian Paolo Pansa, c’é un pezzo di sinistra che quando finisce nei guai, con l’unica gradevole differenza di non insultare i giudici, tende ad assumere modelli e stilemi da paese delle banane. Ci sono accuse e sospetti drammatici, che si addensano sulla testa dei suoi dirigenti, e il leader del Pd si avvale della facoltà di non rispondere. Siccome penso che Bersani malgrado tutto questo sia una persona seria, provo a immaginarmi perché. La prima risposta che posso dare é: non ci riescono. Non sono moderni. Non sono in grado di gestire un crisi mediatica perché non hanno la cultura della trasparenza. La seconda cosa che penso, e mi dispiace, é che sono doppiopesisti. Il retroscena psicologico é questo: siccome noi ci riteniamo al di sopra di ogni sospetto, non possiamo accettare l’idea (e le domande) che non partano dall’assunto della nostra assoluta presunzione di innocenza. É un bel meccanismo di ribaltamento: non siamo noi che dobbiamo chiarire delle zone d’ombra, dicono questi dirigenti, é il giornalista che fa una domanda che non parte dalla presunzione di innocenza che diventa impuro, anzi ostile, anzi si merita di “Andare ad Arcore” se insiste. É un bel dramma.

Ecco perché la strategia diventa prendere tempo, rilasciare dichiarazioni-brodino, ogni tanto incazzarsi, e poi magari farsi intervistare da un Giornalista “amico” che parte dalla presunzione di innocenza e dal postulato della tua impossibilitá di sbagliare e ti chiede solo quello che vuoi tu. Bene, siccome in questi anni noi non abbiamo fatti sconti a nessuno, non si capisce perché dovremmo farli a chi pretende di non essere giudicato. Siccome abbiamo sulla testa (io personalmente, insieme a tre eroici colleghi de il Fatto) la richiesta di tre milioni di euro di risarcimento di una ministra salmonata che “si é ritrovata” il fidanzato all’Aci (che lei controlla) e non tollera che il nostro giornale racconti questa storia, siccome abbiamo raccontato tutto di Anemone e delle tapparelle di Bertolaso, siccome abbiamo strappato la pelle a Scajola per la casa a sua insaputa, siccome non ci fermiamo davanti alle panzane di Tremonti, dobbiamo dire a Bersani, molto sinceramente. Caro Pierluigi, faremo anche a te tutte le domande che ti vanno fatte. E ti chiederemo cento volte conto di quel “Non lo so, non si giudicare“, quando ti domandano delle furbizie difensive di Penati.

Tu non sei Caterina Caselli. Tu puoi pure essere stupito e addolorato di quello che salta fuori da una inchiesta e offenderti per una domanda. Quando saltano fuori inchieste e tangenti sul suo ex braccio destro, un leader deve prendere posizione. Una qualsiasi, ma la deve prendere. E, se posso permettermi, l’unica cosa che non può fare, é mettersi nelle mani di una commissione di garanzia diretta (!) da Luigi Berlinguer (!). Sei uno che vuole governare l’Italia, mica l’Unione sovietica.

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