domenica 28 agosto 2011


di Paola Zanca

“Quando ho letto le dichiarazioni di Penati ho avuto una reazione spontanea: non si può di fronte a una modifica dell’accusa da concussione a corruzione cantar vittoria perché in questo modo si evita la galera. Come si fa a dire ‘si sgretola l’impianto, eccetera eccetera... ’ Calma, lo dovrai dimostrare”. Così, Enrico Rossi, governatore della Toscana ha acceso il computer e trasmesso via Facebook all’ex vicepresidente della Regione Lombardia Filippo Penati la sua “pena” e la sua “rabbia”.

Possiamo chiamarli “anticorpi democratici”?

Noi non abbiamo una differenza genetica, siamo uomini come tutti gli altri. Però, c’è un però.

Quale?

Possiamo adottare una serie di comportamenti che segnino la differenza.

Primo.

Qualsiasi amministratore pubblico coinvolto in vicende giudiziarie in attesa della sentenza non si opponga alla ricerca della verità.

Tradotto?

Penati avrebbe fatto meglio a stare zitto. Le sue parole mi sono sembrate quanto meno inopportune.

Secondo.

Dimettersi da qualsiasi incarico pubblico. Non basta prendere le distanze dal Pd, servono anche le dimissioni dal Consiglio regionale: lui è stato eletto nelle liste del Pd, che ha fatto dell’etica la sua ragione di vita.

E se non se ne va?

Se resta a fare il consigliere il partito deve fare in modo che sia chiaro che non ha più niente a che fare con noi.

Finora il partito non lo ha detto.

Serve che il Pd prenda le distanze in maniera molto forte. Le dichiarazioni che ha fatto Bersani mi pare che almeno in parte vadano in questa direzione.

A Rimini Bersani ha anche detto di non avere elementi per dire se al posto di Penati rinuncerebbe alla prescrizione. Lei ne ha?

La galera è una cosa seria, non chiedo a Penati di avvalersi della rinuncia alla prescrizione perché non so cosa farei al posto suo, bisognerebbe trovarcisi. Certo, un politico non è un semplice cittadino e avrebbe il dovere di assumersi delle responsabilità. Potrebbe scattare un meccanismo per cui “tanto più sono onesto, tanto più mi oppongo al fatto di essere arrestato”. Però qui mi fermo, perché è un tema che riguarda la coscienza personale.

Quella del segretario Pd le sembra una risposta imbarazzata? Penati era capo della sua segreteria politica...

Non mi pare che Bersani mostri imbarazzo, e questo mi fa confermare la fiducia in lui, mi fa supporre che non abbia niente a che fare con questa storia. All’epoca scelse Penati perché era un esponente di successo della sinistra al Nord.

Sui guai giudiziari di alcuni esponenti democratici Bersani è arrivato a parlare di “macchina del fango”.

Il problema è essere netti, e prima lo si fa meglio è. La questione morale bisogna che diventi una discriminante per tutti. Se il caso Penati deve essere una cartina di tornasole, però, mi pare che il Pd abbia adottato un comportamento serio, che Bersani non ne esca male.

Felice Casson, ex magistrato e senatore Pd, però dice che quello di Penati non è un caso isolato, che vicende simili si sono svolte anche in altre regioni.

È vero, ma parliamo di casi che non hanno nulla a che vedere con questo: qui la qualità e la quantità delle accuse è pesantissima, si arriva a inciuciare anche nella vita privata, se è vero il decadimento che sembra ci sia. Poi magari si scoprirà che è tutta una montatura, bene, ma io credo nella giustizia, magari ci mette tempo, ma alla fine rende onore. Se sarà tutto falso vorrà dire che ha avuto la pazienza di Giobbe, e io sarò il primo a dire che va riabilitato.

Ma come ha fatto il Pd a non arginare questa deriva?

La continuità tra politica e affari è intollerabile, e si verifica in particolare in quei settori come l’edilizia, l’urbanistica su cui da tempo la sinistra ha rinunciato a proporre una sua politica riformista.

Dice che il malaffare è proliferato anche per la mancanza di idee?

Una volta parlavamo delle ‘mani sulla città’, parlavamo di rendite... Nei Paesi dove le aree edificabili sono acquisite dal demanio e poi riassegnate, per esempio, l’interesse pubblico è più libero. Qui da noi si è teorizzata ‘l’urbanistica contrattata’ che fa proliferare quel tipo di rapporti assai discutibili dal punto di vista etico.

Da dove si ricomincia quindi?

La tenuta morale di una classe dirigente si costruisce in tanti modi. Con la passione ideale, la vigilanza, il controllo democratico, la partecipazione. Ecco io penso che ci vuole un partito strutturato, che selezioni la sua classe dirigente. Un partito dove in sezione sanno chi è Enrico Rossi, dove abita, cosa fa.

Adesso non è così?

Io mi ricordo una bellissima frase di Bersani: “Anche nel Pd bisogna stare con gli occhi aperti”. So anche che il nostro elettorato ci chiede molto di più.


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