Se Mao Tse Tung fosse vivo e fosse europeo, almeno a parole saprebbe come affrontare l’onda sismica dei mercati: serve, direbbe, un «grande balzo in avanti». Lui aveva il gusto delle definizioni, e avrebbe capito, nell’abissale diversità tra
Certo, che quelli attuali non siano tempi di grandi leader, e non soltanto in Europa, è cosa risaputa. Ma il tramonto degli statisti non deve necessariamente portare a una cecità suicida. E qui nasce un primo problema: la natura odierna del vecchio asse franco-tedesco. Nella stonata orchestra europea sono ancora loro, Sarkozy e Merkel, a battere il ritmo con i loro comunicati congiunti, a distribuire elogi o rampogne, a fissare il limite del possibile alla vigilia di ogni vertice. Ma con una novità di grande rilievo: la coppia è diventata una triade, perché, malgrado tutte le evidenti differenze di ruolo rispetto ai governi nazionali,
Ed è all’interno di questo trio che si colloca la decisiva questione tedesca, quella che può consentire o vietare il «grande balzo in avanti» di cui l’eurozona ha bisogno. Finalmente consapevole di essere sull’orlo del burrone e dei danni che anche
Un simile approccio ha fondate motivazioni storiche e costituzionali. Ma la vera questione che si pone è di volontà politica. La popolarità della signora Merkel ha già molto sofferto, l'opinione pubblica è poco propensa a «pagare per gli altri» oltre un certo limite, nel 2013 in Germania si vota. Sarà tanto forte e tanto europeista, il Cancelliere, da disinnescare la rotta di collisione tra lecite convenienze politiche e visione da statista, tra democrazia nazionale e futuro dell'Europa? Se la risposta tedesca fosse positiva diventerebbe accettabile una responsabilità comune davanti ai debiti nazionali, gli eurobond diventerebbero strumento coerente del nuovo assetto, dal Fondo salva-Stati si potrebbe passare a quella forma di governo finanziario sovrannazionale che oggi non esiste e che proprio con la sua assenza stimola i mercati e rende vulnerabile l'euro. Il tutto, beninteso, continuando a tenere sotto pressione (come in Italia) governi reticenti e opposizioni poco propositive, ritardi tattici e (è ancora il caso dell' Italia) tentativi di tutelare i propri interessi elettorali facendo scattare il ben noto «ci costringono gli altri».
La posta in gioco, dietro la mannaia dei mercati, è questo «grande balzo in avanti» che a conti fatti risulterebbe ben più ambizioso di quello di Mao. Tanto ambizioso che nemmeno a Maastricht fu possibile compierlo. Tanto necessario che bisogna sperare nella Germania, e nella nuova «triade» europea.
Franco Venturini
09 agosto 2011
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