di Flavia Perina
Caro direttore, ha colpito molto i quotidiani del centrodestra un’indagine di Uni versitanet.it su oltre sedicimila studenti italiani secondo cui il 48 per cento è disposto a offrire prestazioni sessuali in cambio del superamento di un esame o di un test di ammissione. Il Giornale, sempre attento a questi argomenti pruriginosi, l’ha pubblicata con grande evidenza tuonando contro i danni “della non educazione familiare, scolastica e sociale degli ultimi trent’anni”. Secondo Anna Maria Bernardini De Pace la colpa è della dissennata stagione dei diritti: “Il diritto delle donne, del bambino, dei padri, delle minoranze, dei disabili (…) del sei politico e dell’essere dovunque siano gli altri senza mai passare attraverso il merito, la fatica, la differenza”.
Molto divertente. A me risulta che la legittimazione del diritto a usare il proprio corpo per superare i concorrenti ha origini molto più recenti. Fino a pochi mesi fa era uno dei cavalli di battaglia del centrodestra che ingaggiò sul tema una vera battaglia culturale, organizzando persino manifestazioni pubbliche all’insegna delle mutande appese. L’alfa e l’omega di quella straordinaria “kulturkampf” furono un articolo di Piero Ostellino in difesa delle donne “consapevoli di essere sedute sulla propria fortuna” e determinate a “farne partecipe chi può concretarla”, e lo sdoganamento della prostituzione come sistema di promozione politica da parte dell’on. Giorgio Stracquadanio.
Cito a memoria: “È assolutamente legittimo che ognuno di noi utilizzi quel che ha, l’intelligenza o la bellezza che siano per fare carriera”, e anche un deputato o una deputata si fossero venduti per un posto in lizza non ci sarebbe niente di censurabile.
Ora che l’indagine di Universitanet rivela lo straordinario successo di queste indicazioni, perché rinnegarle? Il 57 per cento delle studentesse e il 39 per cento degli studenti che “sarebbero pronti a prendere scorciatoie hot” per ottenere l’ammissione a una facoltà non sono figli del ’68 ma di quello straordinario 2010 in cui metà degli opinionisti del Paese si diede da fare per santificare il “metodo Minetti” e per accusare di vetero-moralismo chi, soprattutto fra le donne, avanzava critiche per quel tipo di selezione. Dopo quella stagione ci sono temi – il merito e i valori – su cui il centrodestra dovrebbe semplicemente evitare di intervenire. Si è giocato una volta per tutte la possibilità di farlo. La famosa scuola sessantottina, contro cui hanno straparlato per anni, persino se fosse stata la caricatura che descrivono – bivacchi in aula, promozioni garantite a tutti, insegnanti dediti alla droga e alla propaganda politica – sarebbe meglio della “scuola dei furbi” che il sistema berlusconiano ha stabilmente insediato ai piani alti e bassi della nostra società, dove la fatica e il sacrificio ci sono, sì, ma solo per i poveri, i brutti, gli sfigati che non hanno un parente assessore o per quella modesta percentuale che si ostina a pensare di potercela fare senza scorciatoie e senza vendersi.
Quanto al “6 politico”, la sua più compiuta realizzazione sta nei “diplomifici” tipo Cepu che offrono titoli di studio a pagamento per chi può staccare un assegno. L’avrà inventato il ’68, ma oggi lo incarna il Trota, l’universitario più fortunato d’Italia che può permettersi lezioni universitarie a domicilio per non perdere tempo. Il sedicente partito del merito se n’è accorto?
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